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Cavallino - Cronistoria 1780-1900 | ||
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Sigismondo Castromediano
Celebrazione del 1o centenario della morte
discorso tenuto da A. Garrisi il 22 dicembre 1995
Sigismondo, primogenito figlio del duca di Morciano e marchese di Cavallino don Domenico Castromediano e della marchesa donna Maria Teresa Balsamo, nacque il 20 gennaio 1811 a Cavallino, e qui nell'umile paesello dimorò fino alla matura età di 37 anni; poi per 11 anni fu tenuto costretto nelle tremende galere borboniche; poi, tornato finalmente a Cavallino, nel palazzo degli avi trascorse gli ulteriori anni di sua vita, sino al 1895.
Sigismondo Castromediano nella storia del Risorgimento italiano e tra i patrioti di Terra d'Otranto occupa un posto speciale e preminente. Ora, per comprendere il personaggio che stiamo ricordando nel centenario della sua morte, per capire la sua figura patriottica e la sua personalità politica, è bene inquadrare il giovane Sigismondo nel contesto storico del tempo.
Dal 1820 al 1831 (per 12 anni) i 9 Stati in cui era divisa allora la penisola italiana furono agitati dai moti carbonari…, tutti repressi nel sangue dall'intervento delle truppe austriache. E per i patrioti arrestati… carceri e patiboli.
Dal 1832 al 1846 ( per altri 15 anni) i 9 Stati furono scossi dai reiterati tentativi mazziniani di insurrezioni armate…, anch'esse facilmente soffocate…; e i capi rivoltosi catturati vennero fucilati o impiccati o cacciati in esilio (ricordiamo tra i tanti: S. Pellico, P. Maroncelli, F. Confalonieri, C. Menotti, i fratelli Bandiera, gli stessi G. Garibaldi e G. Mazzini).
Comunque, gli aneliti di libertà, di indipendenza e di unità nazionale continuarono a palpitare nei cuori e nelle menti degli italiani. Anzi i succitati drammatici avvenimenti vieppiù, in seguito, sveglieranno le coscienze, susciteranno sentimenti patriottici e desteranno giovanili entusiasmi.
In questo diffuso clima di patriottismo nazionale e di eroismo personale sbocciarono le idee politiche, per ora entusiastiche, sì, ma ancora acerbe, del nostro Castromediano.
Già nel corso degli studi seguiti in Lecce sotto la guida dei PP. Gesuiti, il giovane Sigismondo aveva cominciato ad essere attratto dai nuovi, e allora sovversivi, ideali di libertà e di giustizia. E dunque, il 32enne nobiluomo, mite di indole, equilibrato di carattere, spinto da uno spontaneo impulso d'amor patrio, aderì con decisione coraggiosa a quel tempo alla setta segreta GIOVANE ITALIA, sezione di Lecce, solo l'anno precedente introdotta dall'avvocato Salvatore Stampacchia.
Ma Sigismondo - l'abbiamo già detto - era un moderato per indole, per educazione e per cultura; così che, quando nei 10 giorni di appartenenza alla GIOVANE ITALIA si rese conto che i mazziniani nel pensiero e nell'azione si rivelavano sovversivi, faziosi, turbolenti repubblicani, egli che si sentiva un patriota innovatore e non un agitatore intransigente, egli che voleva essere un cospiratore riformatore e non un settario sovversivo, non potendosi e non volendosi adeguare a loro, presto se ne staccò, e, da giovane franco e leale, scrisse una lettera di dimissioni giurando che avrebbe tenuto sempre segreti gli affiliati alla setta clandestina. E mantenne la parola.
Giacché, però, qualche critico ha accusato il Castromediano quanto meno di slealtà, se non di tradimento, verso il mazzinianesimo, cerchiamo noi, ora, i veri motivi di quel repentino voltafaccia di Sigismondo.
Il Mazzini - lo sappiamo - era un sognatore, era un politico puro che inseguiva un proprio mondo di aspirazioni che, in quei tempi, non erano suscettibili di realizzazione pratica, perché il programma mazziniano presupponeva: un popolo, quello italiano, ordinato e compatto (il che proprio non era); un popolo capace e onesto (il che non era, neppure allora); un popolo maturo civilmente ed educato politicamente (il che non era proprio).
Il Castromediano, invece, era un osservatore positivo, concreto e attento: e nella massa amorfa dei popolani vedeva ignoranza, mancanza di ideali, egoismo e insidia. Egli, pertanto, era persuaso che solo i galantuomini, sia nobili illuminati e sia civili istruiti e intraprendenti, avessero le capacità e le competenze e, dunque, il diritto-dovere di guidare i destini della nazione e amministrare, con senso di giustizia e di onestà, gli affari dello Stato.
In quegli anni agitati, pure si dibattevano in campo nazionale le grandi questioni istituzionali.
L'Italia dei 9 Stati doveva essere unificata in una Confederazione? (Vincenzo Gioberti, Cesare Balbo, piemontesi); oppure doveva essere una Repubblica unitaria? (Giuseppe Mazzini, genovese); oppure una Repubblica federalista? (Carlo Cattaneo, milanese); oppure una Monarchia costituzionale? (Massimo D'Azeglio, Camillo Benso conte di Cavour).
Il nostro Castromediano sembrò prediligere la soluzione monarchica: una patria italiana unitaria con a capo il Re Sabaudo.
E per questo Sigismondo venne in odio ai compatrioti napoletani, sudditi ancora fedeli ai Regnanti Borboni; e per questo venne in avversione sia ai repubblicani unitari, sia ai repubblicani federalisti; e per questo venne in antipatia anche ai federalisti neo-guelfi.
1846 - Morto Pio VIII, fu eletto Papa Pio IX, il quale presto concesse ai sudditi dello Stato della Chiesa un'amnistia a favore dei prigionieri politici; e poi accordò: una moderata libertà di stampa, la Consulta con membri anche laici, la Guardia civica.
Grande entusiasmo popolare si diffuse in tutti gli Stati della penisola italiana: in ogni città si organizzarono cortei e adunate in piazza, e grandi folle acclamarono il Pontefice, W il Papa liberale, W Pio IX, a dispetto dei propri sovrani assoluti e conservatori.
Successe poi il Quarantotto. Sotto la spinta liberale popolare, seguirono l'esempio del Papa sulla via delle riforme costituzionali, prima il Granduca Leopoldo II di Toscana, poi Carlo Alberto re di Sardegna.
Il sovrano napoletano Ferdinando II di Borbone, istigato dal cognato, l'imperatore d'Austria,… niente!… nessuna pur minima riforma!… fiero reazionario e irremovibile sostenitore dei principii assolutistici. I Palermitani si ribellarono tumultuando, l'insurrezione liberale si diffuse in tutta la Sicilia e, finalmente, il 12 febbraio 1848 il nostro Re a malincuore si decise a promulgare la Costituzione liberale.
Nel Regno delle Due Sicilie si ebbero entusiastiche manifestazioni di esultanza con fiaccolate e scampanii e suoni di banda e grida: W la Costituzione!; su tutte le piazze fu eretto l'Albero della libertà e furono accesi fuochi d'artificio; in tutte le chiese fu cantato il "Te, Deum" di ringraziamento.
A Lecce il poeta Giuseppe Falco compose un inno patriottico e il maestro Nicola Consiglio lo musicò.
Ma…, ma il 15 maggio (dopo soli 4 mesi) il Re Bomba, pentito, revocò la Costituzione e tornò ai metodi polizieschi e repressivi. E fu nuovamente la delusione, e la rabbia si diffuse per tutto il Regno delle Due Sicilie. Però, nei patrioti napoletani svanì, sì, la fiducia riposta nel proprio sovrano, ma non si spense la brama di libertà e il desiderio di unità nazionale.
Il 29 giugno 1848 i liberali progressisti leccesi, clandestinamente in un buio locale sito nella piazza del vescovado, fondarono il CIRCOLO PATRIOTTICO SALENTINO; ne fu Presidente, Bonaventura Mazzarella e Segretario, il duca Castromediano. Sigismondo accettò l'incarico pur convinto che sarebbe andato incontro a severi rischi polizieschi.
Nel proclama, redatto proprio dal Castromediano e fatto distribuire in città e in provincia, i congiurati invocavano per tutta l'Italia meridionale la formazione di un Governo provvisorio in attesa di affidare poi le nostre regioni ad un Sovrano liberale, se necessario anche straniero.
In piazza Sant'Oronzo la folla commentava il proclama, quando arrivò da Manduria Nicola Schiavoni (cappello a larghe falde, giacca di velluto, fucile e cartuccera a tracolla - così dicono le cronache) e tenne un vibrante comizio e propose di dichiarare decaduta la Monarchia borbonica e di formare un governo di salute pubblica.
I patrioti leccesi, aiutati dalla popolazione eccitata, cacciarono via le autorità costituite e si impadronirono della città, occuparono il Palazzo del Telegrafo, alzarono barricate sulle vie di accesso, occuparono il Castello e distribuirono le armi ai cittadini, …una vera rivolta contro il Re, dunque.
E i ribelli si prepararono per difendere la città e la provincia contro le truppe regie, che già si erano mosse da Bari. E, difatti, alcuni giorni dopo giunse la famigerata 'Colonna mobile'; e i leccesi che cosa potevano contro la cavalleria e la fanteria del generale Marcantonio Colonna? E l'insurrezione fu facilmente domata. Ultimato l'intervento militare nel Salento, entrò in azione la polizia borbonica.
Dei responsabili della rivolta, Bonaventura Mazzarella, Nicola De Donno ed altri fuggirono in Albania; a settembre furono catturati Nicola Schiavoni gentiluomo, Nicola Valzani sacerdote, Michelangelo Verri operaio, e Leone Tuzzo studente; il 30 ottobre 1848 caddero nelle grinfie degli sgherri il Castromediano, i due fratelli Stampacchia, Pasquale Persico architetto, ed i cugini Enrico e Carlo D'Arpe. Essi e molti altri (una quarantina) furono concentrati nel carcere cittadino, in attesa di giudizio. Il processo ebbe inizio dieci mesi dopo, il 28 agosto del 1849 - Presidente Giuseppe Cocchia - e fu concluso il 2 dicembre.
Il Pubblico Accusatore, Francesco Paolo Chieco, un ex carbonaro (oggi diremmo un 'carbonaro pentito'), per il Castromediano, il Verri e lo Schiavoni chiese la pena "dell'ultimo supplizio", cioè l'impiccagione "al laccio col terzo grado di pubblico esempio, cioè da trascinarsi sul luogo del patibolo a piedi nudi, coperti di tunica nera, col velo sul volto e alle spalle una tabella d'infamia".
Purtroppo, per il Castromediano ebbe peso preponderante e, quindi, fu motivo aggravante, l'essere egli un Nobile, un discendente dei baroni, marchesi, duchi di Castromediano, signori feudatari sempre privilegiati, sempre favoriti dai Sovrani napoletani. Comprensibile la ribellione di un civile, di un intellettuale borghese; ammissibile pure la rivolta di un popolano, misero, pezzente…; ma nemmeno immaginabile, e perciò stesso maggiormente punibile, il tradimento di un nobiluomo!
Comunque, Sigismondo avrebbe potuto benissimo seguire il consiglio di un membro della Gran Corte Speciale, il quale gli suggeriva di difendersi, di avanzare giustificazioni, di palesare ravvedimento, di fingere pentimento…, così come faranno altri dei 36 compagni giudicati.
No. Integerrimo qual era, rispettoso di se stesso, fedele alle sue idee politiche che riteneva cònsone alla realtà italiana, mantenne la sua dignità, e difese, con il suo retto e altero comportamento, la sua etica morale, e non tradì la sua convinzione politica di liberale italiano, di nazionalista unitario.
Alla fine la Regia Corte Speciale, alquanto benigna, emise la sentenza e comminò le seguenti condanne definitive: a Sigismondo Castromediano, allo Schiavoni e al Verri 30 anni di ferri; al Valzani, sacerdote 24 anni di ferri; al Tuzzo, al D'Arpe, al Persico 9 anni; agli altri… pene varianti da 4 a 1 anno; Salvatore Stampacchia, il fiero mazziniano, ebbe 2 anni soltanto.
Cominciò allora il calvario, durato 11 lunghi anni, del coraggioso e generoso nostro concittadino. Egli, inserito senza alcun riguardo tra i delinquenti comuni, soffrì le pene, le privazioni, le torture delle crudeli carceri borboniche: nella prigione del Carmine a Napoli "nelle cui corsie non s'osservavano che offese al pudore, alla decenza, alla morale, alla legge, a Dio" (Memorie); nel penitenziario di Procida, dove, in presenza di sevizie indicibili, alla vista di sfacciati contatti ignominiosi, invoca il nome di Dio; nelle galere inumane di Montefusco, a proposito delle quali una canzone popolare diceva:
Dopo alcuni anni di durissima prigionia Sigismondo è ridotto male, ma proprio male in salute: dimagrisce di mese in mese, soffre agli occhi e alla gola, ha i visceri gonfi, le orbite incavate, talvolta ha forti capogiri che lo lasciano privo di sensi; insonnia, freddo alle ossa d'inverno e caldo umido d'estate gli cagioneranno la gotta.
Un giorno, con grande sua sorpresa, il Castromediano, tuttora con la divisa di galeotto, con la catena ai piedi, viene tradotto a Napoli, la capitale. Qui lo attende la sorella Costanza, la quale, grazie al vescovo di Lecce Nicola Caputo, amico e benefattore dei perseguitati politici, cerca di aiutarlo.
Costanza informa il fratello che "se dichiarasse di riconoscere il suo delitto di lesa maestà e sottoscrivesse la domanda di grazia", dal Re Ferdinando otterrebbe il condono e la libertà.
- E la medesima sorte sarà riservata anche ai miei compagni di sventura?
- No, purtroppo. Solo a te…
- E io me ne torno a Montefusco.
Questo suo esemplare atto di solidarietà, questa sua determinazione al martirio, gli furono attestati dai Leccesi, allorché a Sigismondo Castromediano dedicarono una piazzetta di Lecce e gli eressero un monumento (opera dello scultore Antonio Bortone) alla cui base vollero la scritta
Inoltre, negli anni successivi, il galeotto Castromediano provò le sofferenze anche delle carceri penali di Montesarchio e di Nisida e di Ischia, sempre più debilitato nella salute, sempre più prostrato nello spirito, tanto che, se non avesse fidato nella Provvidenza, avrebbe toccato l'apice della disperazione.
E dunque, o Amici, è da ritenere il nostro concittadino un patriota secondario o addirittura un 'travicello' che si trovò ad essere travolto dalla bufera dei tempi e trascinato dagli eventi politici senza una sua consapevole coscienza e volontà?
No, Amici. Se pure non salì sulle barricate, se nemmeno fece il tribuno di piazza, se pure rifuggì turbato dal programma rivoluzionario mazziniano, se pure, proprio per il suo carattere mite e capace di autocontrollo, egli rimase apparentemente sereno, a qualcuno sembrò quasi apatico, durante tutto il processo…; "concentrato in me stesso - scriverà poi nelle Memorie - pensai a Dio; pensai al futuro coperto da profondo mistero… pensai… e pregai…"; se pure, insomma, Sigismondo non fu uomo d'azione ma fu piuttosto uomo di pensiero, …certamente no; non è da ritenere meno ardimentoso, meno eroico e meno degno di ammirazione rispetto agli altri patrioti, eroi nazionali.
Da tempo i governanti d'Europa vanno biasimando la durezza disumana delle prigioni napoletane. Allora Ferdinando II decide di liberarsi dagli scomodi e irriducibili prigionieri politici, relegandoli nelle lontane Americhe in perpetuo esilio.
Il 9 gennaio dell'anno 1859 un primo gruppo di 66 politici (tra cui Silvio Spaventa, Luigi Settembrini, Sigismondo Castromediano) viene fatto imbarcare per l'interminabile viaggio oltre atlantico.
Gli avvenimenti ora precipitano: il 14 gennaio Re Ferdinando II, trovandosi a Lecce, viene colto da grave malattia e si affretta a rientrare nella capitale; nel contempo i prigionieri politici esiliati, in sosta nel porto di Cadice in Spagna, lasciano il piroscafo napoletano "Stromboli" e si trasferiscono sulla nave "David" degli Stati Uniti, il comandante della quale, il capitano Samuele Prentiss, fattosi corrompere dal dio denaro, invece di puntare verso New York, cambia rotta e sbarca i politici in Irlanda. Gli esiliati napoletani sono finalmente liberi, se pur esuli all'estero.
Poi dall'Irlanda Sigismondo Castromediano ed altri passano in Inghilterra; poi attraversano la Francia, superano le Alpi, e nell'aprile del 1859 giungono a Torino, la capitale del Regno di Sardegna e vengono salutati da Vittorio Emanuele II di Savoia e da Camillo Benso di Cavour, i quali esprimono ai patrioti sentimenti di stima e assicurano tangibili atti di solidarietà.
Nel frattempo, il nostro Re Ferdinando II, sulla via del ritorno a Napoli, il 22 maggio 1859 muore a Caserta, e gli succede il figlio Francesco II di Borbone, il quale si decide di concedere una buona volta la Costituzione.
Troppo tardi, ormai, per conquistarsi la gratitudine dei sudditi; già, troppo tardi, perché il 25 maggio del 1860 Giuseppe Garibaldi con le sue Camicie Rosse sbarca a Marsala e occupa la Sicilia, risale per la Calabria, attraversa la Basilicata e la Puglia, giunge in Campania; in poco più di tre mesi ha conquistato l'intero Regno delle Due Sicilie, e il 7 settembre 1860 entra a Napoli, mentre Francesco II fugge prima a Gaeta e poi a Roma.
Successivamente tutte le regioni centro-meridionali vengono annesse all'Italia dei Savoia, e, dunque, le speranze e i desideri del patriota Castromediano sono appagati: l'Italia è unita in un unico Stato, indipendente da ogni influenza straniera, organizzato in forma di monarchia costituzionale sotto Casa Savoia.
All'inizio del 1861 si tennero le prime elezioni generali per il Parlamento non più Piemontese ma Italiano; Sigismondo Castromediano risultò eletto deputato nazionale e fino al 1865 fu a Torino per partecipare alle riunioni dell'Assemblea e ad appoggiare sempre la politica del Cavour, capo del governo.
A fine legislatura - possiamo calcolare dopo 17 anni dal giorno dell'arresto - il nostro concittadino (non essendo stato rieletto deputato) tornò ad abitare nel suo palazzo di Cavallino, ormai spogliato dei mobili, dei quadri, degli arazzi, delle porcellane e di tutti i preziosi oggetti cari del casato.
Fu eletto, poi, Consigliere provinciale ed esplicando vari incarichi operò disinteressatamente per migliorare le condizioni economiche, sociali, culturali della Terra d'Otranto; arricchì di libri la Biblioteca provinciale di Lecce e realizzò il Museo archeologico, oggi intitolato al suo nome; suggerì miglioramenti agricoli; promosse iniziative industriali e commerciali, prolungamenti di vie di comunicazione carrozzabili e pure ferroviarie in tutta la provincia.
Però il tempo è trascorso. Ormai Sigismondo è stanco nello spirito e malato nel corpo, non si muove più da Cavallino, e, rispettato e ossequiato, offre ai suoi concittadini la propria umanità, la propria saggezza ed onestà, facendo per parecchi anni il Giudice Conciliatore.
E, inoltre, attende a raccogliere e a ordinare i ricordi della prigionia in un libro intitolato appunto Carceri e galere politiche - Memorie.
Però spesso vengono gli amici vicini e lontani per riverirlo; anche alcuni viaggiatori esteri (come Janet Ross, Martin Briggs, il Gregorovius), i quali hanno sentito parlare del 'bianco Duca' e desiderano conoscere e l'illustre uomo di cultura e il dimenticato patriota martire. Il dotto viaggiatore francese Paul Bourget così annotò dopo l'amichevole incontro:
"…ebbi l'apparizione del vecchio signore a ottant'anni, vestito di nero, smilzo, di statura ancor dritta e gigantesca non ostante gli acciacchi e le infermità patite. Egli trascina le sue povere gambe malate, e sotto una capigliatura ammirabile per candore e foltezza, mostra una faccia rasa… L'espressione di quel viso, nobile e amara, altiera e malinconica, rivela che un troppo rude destino ha pesato su quell'essere…".
Questi che ho esposto furono alcuni dei principali avvenimenti storici del Regno delle Due Sicilie e dell'Italia, e, inserite in essi, le vicissitudini di Sigismondo Castromediano. Lascio a ciascuno di Voi la facoltà di formulare il suo equilibrato giudizio su un uomo martire dei propri ideali, il quale - come ebbe a concludere il suo avvocato difensore "non ha altra colpa se non quella di aver amato fortemente, sinceramente la patria".
Permettetemi di leggere, in fine, una pagina del libro Suntu… fatti nesci, un brano in dialetto leccese, la lingua che il Duca parlava familiarmente quando il pomeriggio nella spezerìa di don Cìccio Murrone si incontrava con gli amici.
"…e passàu lu restu te l'anni soi tra lli rrecuerdi te la longa vita soa, spisa pe lla libbertà e pe ll'unità d'Italia. Le Memorie, a nfine, fôra unite a llibbru ntitulatu Carceri e galere politiche; e siccomu aìa ddentatu quasi tuttu cecu, iδδu dettàa e lle neputi Custanza e Livia screìanu; e cquarche fiata se facìa iutare puru te lu Peppinu De Duminicis, nnu carusu fìgghiu te cuntatini, ma mutu struitu percé ìa sçiutu alle scole te Lecce.
Sicismondu Castrumetianu, dopu tante sufferenze e patimienti, lu 1895 alli 26 te acostu, pròpiu te la festa te Santu Ronzu, murìu alla bella ità te 84 anni, e foi precatu ntra lla tomba te famìglia allu campusantu te Caδδinu.
Puru moi cinca ae allu cimiteru e sse cùcchia cu llegga la làpite, nci ite scrittu:
Li steli spinosi te nna rosa ncora moi se rràmpecanu fena alla làpite: la rosa a llu Duca nèsciu nni la chiantàu mèsciu Arturu zueppu, lu rremitu te lu Campusantu.
Giungo alla conclusione.
Dal racconto degli eventi storici e dei fatti personali, vissuti, compiuti e subiti dal nostro illustre concittadino, ritengo che possa essere espresso questo vero giudizio:
Sigismondo Castromediano, patriota risorgimentale, spirito mite libero e integro, osteggiò i governi retrivi subendo perciò ferite nella carne e nell'anima; anelò ad una Italia intera e compì sacrificio di sé per averla alfine unita libera e giusta.
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