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Cavallino attraverso i secoli
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Dalla venuta dei Borboni
alla fine del feudalesimo
Dall'abolizione del feudalesimo
all'estinzione dei Castromediano
Il primo cinquantennio del XX secolo

PARTE SECONDA: IL MARCHESATO

Capitolo undicesimo

DALL'ABOLIZIONE DEL FEUDALESIMO ALL'ESTINZIONE DEI CASTROMEDIANO



1- Cavallino libero comune

Il 1806 (data importante!) il re di Napoli Giuseppe Bonaparte emanò un decreto con cui aboliva il feudalesimo, annullava le giurisdizioni e i privilegi dei nobili e del clero, rendeva libere le città, le borgate e le terre, affrancava i vassalli da ogni vincolo servile e rendeva i sudditi liberi cittadini.

Inoltre fu abolita la prammatica secondo cui i contadini non potevano vendere i prodotti agricoli se prima il marchese non avesse venduto i suoi. Fu fatto un nuovo catasto dei terreni e dei fabbricati e, finalmente, fu posta a base dei tributi la rendita fondiaria e immobiliare.

Si pensi, dopo oltre un millennio e mezzo di anni i nobili, che si vantavano di essere i privilegiati da Dio, che affermavano di avere nelle vene sangue blu e non rosso come quello dei loro villani, erano declassati a livello di uomini comuni; mentre i vassalli tornavano ad essere uomini veri, padroni di se stessi e dei propri beni, liberi di pensare, liberi di decidere, liberi di agire e di operare nell'ambito delle norme naturali e delle leggi statali.

Non si creda che tutti i Cavallinesi esultassero e si rallegrassero della fine del feudalesimo. In grandissima maggioranza, quelli dotati di spirito d'indipendenza e di iniziativa, di dignità e di orgoglio personale, gioirono nella libertà riacquistata; pochi altri al contrario, quelli che per natura si sentivano servi nell'intimo, che non erano sicuri senza un padrone che li guidasse, quei pochi si rammaricarono, qualcuno pianse, per la fine dei feudatari, per la caduta dei Signori padroni.

Domenico II Castromediano di Limburg, figlio di Gaetano, fu l'ultimo barone-marchese di Cavallino e duca di Morciano.



2- Abolizione del maggiorasco

Con l'abolizione del feudalesimo fu annullato anche il maggiorasco, cioè l'indivisibilità delle proprietà patrimoniali del casato, istituito per la famiglia dei Castromediano dal 1° duca Domenico Ascanio. nel 1650.

Allora i fratelli e le sorelle di Domenico II, l'ultimo titolare del casato e del feudo dei Castromediano, pretesero la loro parte dei beni mobili e immobili della famiglia. Ma erano otto i litiganti, anzi tredici se si aggiungono i cognati, e incominciarono le interminabili contese, le accanite discordie, le liti giudiziarie, gli appelli contro le prime sentenze.

Chiliano Castromediano, figliolo di Domenico II, lasciò scritto che "le sostanze vistose di Famiglia da prima decaddero, quindi tutte si distrussero… per le liti civili sostenute con le sorelle e cognati (liti già rese proverbiali!)".

Gli eredi alla fine tolsero al fratello persino il Palazzo, dividendoselo in quote, e in ultimo, chiuse le questioni ma non sopiti i rancori, tra spese di tribunale ed onorari agli avvocati, rimasero pur essi spogliati di tutti i beni e di tutte le sostanze dei Castromediano.

A norma dello stesso regio decreto venne chiuso anche il convento dei Domenicani; ad essi fu tolto il diritto e la facoltà di riscuotere la congrua, il complesso dei benefici ecclesiastici, con cui i frati si sostenevano . Rimasti senza fonti di reddito, i Domenicani, dopo oltre un secolo e mezzo dalla loro venuta, lasciarono il paese di Cavallino. Il grande fabbricato del convento fu incamerato dal demanio, passando a far parte dei beni del nuovo Stato.



3- Re Gioacchino Murat a Cavallino

Il 1808 al posto di re Giuseppe, dal fratello Napoleone nominato re di Spagna, venne a sedere sul trono di Napoli il generale Gioacchino Murat, cognato di Napoleone Bonaparte avendone sposato la sorella Carolina.

Il sovrano si pose all'opera con tutte le sue energie con l'intento di fare del Reame uno Stato moderno, ordinato e ben amministrato. Spesso lasciava la capitale e raggiungeva le province del regno allo scopo di rendersi personalmente conto delle varie condizioni del popolo e delle sue necessità.

Il mese di aprile del 1813 il re venne a visitare Lecce, poi, avviandosi per recarsi ad Otranto, via Martano, passò per Cavallino, dove gli abitanti avevano preparato una solenne accoglienza. Tra grida festose, suoni di banda e di campane, spari di mortaretti e lancio di coriandoli, i Cavallinesi accompagnarono il re, contento e divertito, sotto un arco trionfale ornato di ghirlande, di fiori e di bandiere.

A quel punto il sindaco Benedetto de Giorgi, contornato dai consiglieri comunali, presentò al sovrano la petizione di poter utilizzare per usi amministrativi municipali i locali dell'ex convento dei frati domenicani. Re Gioacchino accolse la domanda e sulla supplica scrisse di suo pugno in francese la parola "accordé" (accordato).



4- Il ritorno dei Borboni

Nel 1815, crollato l'impero napoleonico, tornò Ferdinando IV, ora diventato I re delle Due Sicilie. Re Gioacchino Murat venne fatto prigioniero e fucilato.

Nel 1820 re Ferdinando I, costretto dai moti carbonari ed esortato da alcuni consiglieri illuminati, concesse la costituzione, un atto politico ed istituzionale di grande importanza e molto atteso dal popolo, atto che implicava la concessione di certi diritti e di alcune libertà, tra cui l'elezione del Parlamento Nazionale.

I cittadini di Cavallino accolsero con piacere la notizia e inneggiarono al re. Ma l'anno dopo il sovrano abolì la costituzione e riprese nelle sue mani tutti i poteri di un regime assolutistico e reazionario.

Nel 1825 a Ferdinando I successe il figlio Francesco I, e, morto costui nel 1830, diventò re delle Due Sicilie il figlio Ferdinando II, che regnò fino al 1859 continuando la politica paterna conservatrice, la quale si opponeva ad ogni movimento di progresso civile e sociale. Alla politica oscurantista della monarchia borbonica il nuovo re aggiungeva un'avversione innata alla cultura, un odio acuto contro i diritti delle masse e contro le libertà civili; e in ogni manifestazione, sia nella vita privata che pubblica, era mosso da sentimenti religiosi bigotti e superstiziosi.

Una tale politica e un tale atteggiamento non potevano essere condivisi ed accettati dal nostro concittadino Sigismondo Castromediano, figlio dell'ultimo marchese-duca, un giovane di animo liberale, aperto al progresso.



5- Un martire del Risorgimento

Sigismondo Castromediano, figlio di Domenico II e di Anna Teresa Balsamo, donna di elette virtù, nacque a Cavallino il 20 gennaio del 1811 al tempo di re Gioacchino Murat. Nel 1848, regnando Ferdinando II di Borbone, fu segretario del Circolo Patriottico Salentino e, per soli dieci giorni, aderì alla Giovane Italia di Giuseppe Mazzini.

Accusato di cospirazione contro la monarchia borbonica, fu incarcerato il 29 ottobre 1848 insieme con altri trentacinque imputati politici; due anni dopo venne condannato a trent'anni di carcere duro e rinchiuso nelle galere di Procida, Montefusco, Montesarchio, Nisida e Ischia.

Nove anni dopo. Ferdinando II gli commutò la pena del carcere con l'esilio in America; ma a Sigismondo riuscì di raggiungere la Gran Bretagna (1859). Lo stesso anno si trasferì in Piemonte, a Torino, ancora per poco capitale del regno di Sardegna retto da re Vittorio Emanuele II di Savoia.

Conclusa l'eroica spedizione militare dei Mille (1860) con la vittoria di Giuseppe Garibaldi. con la fuga da Napoli del nuovo re Francesco II di Borbone e con l'occupazione del regno delle Due Sicilie, i soldati garibaldini sparsi per tutte le città, presidiavano le province dell'Italia meridionale in attesa dello sviluppo degli eventi.

Rientrato a Cavallino, Sigismondo Castromediano, il quale aveva abbracciato la causa piemontesista e ardentemente desiderava l'annessione nel regno di Vittorio Emanuele II, era in ansiosa attesa per paura che Garibaldi, nel frattempo raggiunto a Napoli da Giuseppe Mazzini, desse una diversa soluzione alla questione meridionale.

Lo stesso anno fu indetto il plebiscito per chiedere al popolo se voleva oppure no l'annessione al regno di Sardegna.

Si tenga anzitutto presente che i contadini meridionali, che con il loro aiuto erano stati determinanti per la vittoria dei volontari garibaldini, erano amaramente delusi e contrariati per la mancata riforma agraria promessa da Giuseppe Garibaldi e non attuata.



6- I Cavallinesi contrari ai Savoia.

Durante la campagna elettorale per il plebiscito, poiché si era capito che i Cavallinesi erano contrari all'unità e che al re Vittorio Emanuele II di Savoia preferivano il re Francesco II di Borbone, una decina di Garibaldini vennero a Cavallino e cominciarono a provocare e a malmenare alcuni cittadini. La folla insorse compatta e cacciò via dal paese le camicie rosse. Queste però tornarono con i rinforzi della Guardia Nazionale e ripresero a insolentire contro i cittadini, molti dei quali furono colpiti con i calci dei fucili, altri arrestati e trascinati a Lecce. Dall'altra parte parecchi soldati rimasero pestati e contusi.

In quella occasione i militi della Guardia Nazionale distrussero il piccolo monumento di Filippo IV re di Spagna, eretto in piazza, di fronte al palazzo marchesale. I Castromediano lo avevano innalzato in onore e a ricordo del sovrano che li aveva elevati da baroni a marchesi e poi a duchi; ma ai giovani liberali e progressisti quella statua ricordava il periodo più buio e triste della storia dell'Italia meridionale, per loro era il simbolo della più oppressiva, corrotta e sfacciata dominazione straniera, appunto quella spagnola durata esattamente due lunghi secoli.

Gli eventi, ormai, erano maturati e, nonostante il voto contrario degli elettori di Cavallino, il plebiscito fu favorevole all'annessione e tutte le regioni meridionali vennero unite al resto dell'Italia.

L'anno dopo (1861), dovendosi votare ancora per eleggere i rappresentanti alla Camera dei Deputati, Sigismondo Castromediano si presentò candidato nel collegio di Campi Salentina e risultò eletto deputato al I° Parlamento Italiano di Torino.

Scaduto il mandato parlamentare, nelle successive elezioni politiche del 1865 Sigismondo Castromediano non venne rieletto deputato (al suo posto andò Beniamino Rossi di Caprarica), perciò si ritirò a Cavallino, suo paese natio, in due stanze del palazzo ormai derubato e spogliato dei mobili, delle suppellettili, dei tappeti, degli arazzi e dei preziosi cimeli, e lì, quale ospite del proprietario nipote Eduardo Casetti, trascorse il resto della vita in dignitosa povertà, dedito allo studio e impegnato nella stesura delle sue Memorie - Carceri e galere politiche, tra il rispetto e l'ossequio dei buoni compaesani.



7- La dinastia dei Castromediano si estingue

Domenico II Castromediano, ultimo marchese di Cavallino e ultimo duca di Morciano, l'anno 1852 morì a Napoli, dove da gran tempo si era stabilmente trasferito. Dei suoi cinque figli maschi: Giovan Battista gli era premorto, celibe, a Lecce nel 1840 all'età di ventidue anni; Ascanio trentottenne, pure lui celibe, morì a Napoli nel 1855; Chiliano, deceduto in Cavallino nel 1864, aveva lasciato un figlio maschio, Sigismondo, il quale morì celibe nell'anno 1916; Enrico, sposato ma senza figli, morì a Morciano nel 1894.

Il maschio primogenito di don Domenico, l'illustre patriota Sigismondo, amò con sincero affetto il paese natìo; qui dimorò e qui fu colto dalla morte il 26 agosto 1895, all'età di ottantaquattro anni, e le sue spoglie furono riposte nell'edicola di famiglia nel cimitero di Cavallino, dove tuttora si conservano.

Sigismondo, pur amando, riamato, una graziosa ragazza torinese, non si era mai deciso a prendere moglie; anch'egli morì senza lasciare eredi e con lui, dunque, si estinse l'antico casato dei Castromediano di Limburg, per trecento sessanta anni signori feudatari di Cavallino.




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