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CAPITOLO III: LA CITTÀ MESSAPICA

Paragrafo 14

Conclusione storica



C'è da osservare che le mura della «Città messapica di Cavallino» non somigliano alle mura esterne di Manduria, erette nel sec. IV a. C.; quelle di Cavallino sono più arcaiche, più antiche di circa duecento anni; tutt'al più queste di Cavallino presentano analogie e affinità con le mura degli insediamenti messapici di Otranto, di Ugento, di Valesio o al massimo con la cinta interna più antica di Manduria (il fossato interno di Manduria ha le stesse dimensioni di quello di Cavallino).

Nelle varie campagne d'indagine condotte nel vasto pianoro di Cavallino non è venuta alla luce alcuna iscrizione greca, alcuna iscrizione latina, ma soltanto frammentarie iscrizioni messapiche. C'è ancora da rilevare che nessun reperto archeologico è databile posteriormente alla metà del sec. V a. C.; dunque, queste opere di difesa, muraglia, torri, fossato, furono preventivate e approntate proprio nella previsione e nella prevenzione delle lotte armate dei Messapi contro i Tarantini invasori e predatori, lotte che si svolsero in questo ordine cronologico: primo conflitto armato verso il 500 a. C., terminato con la vittoria dei Tarentini; seconda azione bellica nel 473-72 a. C., finita con la vittoria degli Iapigi; una decina di anni dopo, ultimo scontro, conclusosi con la sconfitta definitiva dei Messapi.

Dopo questa data (secondo quarto del sec. V a. C.) - è bene rilevare - nessuna fonte storica menziona più avvenimenti importanti in cui siano coinvolti gli Iapigi, avviati ormai verso un inarrestabile declino, persino etnico; e quando, due secoli dopo, vi giunsero i Romani conquistatori, trovarono la Messapia spopolata, desolata, sitibonda, impoverita.

Analogamente, dopo questa data, la «città messapica di Cavallino» cessò di esistere: le mura furono abbattute, le cisterne riempite di ciottolame, le case incendiate (qualche misera parete di abitazione mostra tracce d'incendio); nessuna testimonianza successiva o storica o letteraria, orale o scritta rimase di essa, e persino il suo nome, giacché un nome dovette pure averlo!, cadde nell'oblio della storia.

Ci piace, a questo punto, chiudere il nostro compendio con la sintetica conclusione storica del prof. G. Nenci (Bibliografia Topografica, V, Pisa-Roma 1987, pp. 198-199) e con la stimolante ipotesi di identificazione suggerita dall'illustre studioso, il quale dice:

«Premesso e accertato che Cavallino è un grande centro indigeno fiorente fin dalla metà dell'VIII sec. a. C. e che raggiunge il suo apogeo con il grandioso impianto urbanistico della metà del VI sec. a. C., impianto che testimonia un forte grado di organizzazione sociale, premesso e accertato che la città viene abbandonata fra il 500 e il 470 ca. a. C., ci si deve chiedere quali siano state mai le ragioni dell'abbandono. Se in passato ho ipotizzato un abbandono dovuto a cause naturali, gli scavi nel fossato e i cippi votivi ivi rinvenuti inducono a pensare ad una distruzione violenta per opera di nemici, che imposero l'abbattimento delle mura a doppia cortina, precipitate nel fossato antistante. Tale distruzione non può essere avvenuta che ad opera di Taranto e, considerata l'epoca e l'importanza del sito dal punto di vista urbanistico, considerata la posizione di Cavallino, è forse possibile identificare Cavallino con la Carbina di cui parlano le fonti antiche (ATHEN., 12, 322 a), distrutta, con oltraggio degli abitanti, appunto dai Tarantini. Ci si può chiedere se il toponimo Caballinus non serbi traccia di una originaria Karabina-Kabarina-Kabalina, sulla base della radice karb- che indica «barbaro». Se così fosse, Carbina, di cui continueremmo comunque ad ignorare il toponimo messapico, sarebbe, nella toponomastica dei Greci di Taranto, la città messapica «barbara» per antonomasia…, in quanto Cavallino era probabilmente la più importante fra le città messapiche confinanti con la chora tarentina».




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