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Cavallino - I luoghi della memoria
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Il Palazzo Castromediano
La Piazza
Il Convento e
la Chiesa del Convento
La Chiesa parrocchiale

Il Convento e la Chiesa del Convento

Contemporaneamente ai lavori di ampliamento del palazzo, il marchese don Francesco, anche per voto e per desiderio della marchesa consorte donna Bice, diede inizio alla costruzione di altre due opere importanti quali un convento e una chiesa annessa.

Certo il padrone del feudo poté assumere e affrontare tali onerosi impegni finanziari tenendo conto che il materiale da costruzione, la pietra leccese, gli proveniva gratuitamente dalle sue cave del Sediolo e del Pigno; inoltre, i conci di ogni taglio e misura (pezzotti, parmi, uccetti, chianche) li faceva estrarre dai propri servi cavapietre e li faceva trasportare ai cantieri dai propri servitori carrettieri per mezzo dei propri carri e cavalli.

La costruzione del convento e della chiesa conventuale durò dall'anno 1626 al 1635 (pochi anni prima i Leccesi avevano costruito la barocca basilica di S. Croce e l'attiguo convento dei Celestini), e, a lavori ultimati, i due edifici furono affidati ai Padri Predicatori dell'Ordine dei Domenicani, ai quali, inoltre, come sostentamento il munifico Marchese concesse il privilegium di riscuotere la decima sui cereali, olive, uve, legumi e fichi raccolti nel feudo di Caballino.


Cavallino, imbocco della via del Convento (corso Umberto I)
Cavallino, imbocco della via del Convento (corso Umberto I)

Dunque, in una fascia di suolo edificatorio, che si estendeva al di qua dell'arco di Lecce, sul fianco sinistro di quella che poi sarà chiamata strada del Convento, sorsero a pianterreno: un androne d'ingresso e, attigui in senso verticale, una stanza, una sala, vari servizi; e, in senso longitudinale, il refettorio e la cucina, un parlatorio e una sala per le riunioni e altri locali di servizio e di deposito.

Il portone dell'ingresso, ad arco a tutto sesto, è contornato da una tipica cornice a bugne ed è sormontato dallo stemma del Marchese benefattore; in fondo al lungo androne ha inizio, a sinistra, uno scalone a gradini di pietra, a due rampe che salgono al piano superiore, dove erano sistemate le celle dei monaci.


l'ex Convento, portale d'ingresso Lo scalone
l'ex Convento, portale d'ingressoLo scalone

Sulle robuste pareti retrostanti, che prospettano in uno spazio sgombro a cielo aperto, si notano le tracce e i contorni di archi successivamente murati, i quali fanno pensare ad un chiostro progettato e iniziato, ma non portato a compimento. Il convento fu abitato per 180 anni da una decina di monaci domenicani tra frati sacerdoti e frati conversi, fintantoché l'Ordine religioso con editto di re Gioacchino nel 1808 non fu soppresso e il convento confiscato.


Tracce degli archi del portico
Tracce degli archi del portico

Contigua al Convento, in posizione avanzata, fu eretta la Chiesa conventuale intitolata a S. Domenico di Guzmàn. Il tempio fu impiantato al di sopra di una cripta preesistente e vi si accede mediante una gradinata duplice convergente in un pianerottolo.


La loggia del chiostro
La loggia del chiostro

La facciata, probabilmente prevista a frontone a timpano ma rimasta incompiuta alla sommità e alle due ali, si presenta liscia, semplice, rotta soltanto da un'alta finestra centrale e da due finestre laterali, aperte più in basso; sopra la porta d'ingresso è scolpito lo stemma dei Castromediano, un cui riquadro, questa volta, è marchiato da tre "pignatelli" che richiamano il cognome del contemporaneo vescovo di Lecce, mons. Antonio Pignatelli; nella parte sinistra del prospetto c'è un altro scudo gentilizio a cinque punte, emblema dei Castromediano.

L'interno del tempio, a pianta basilicale, è a tre navate, i cui termini sono rimarcati da quattro (due per parte) pilastroni a colonne quadrinate, su cui sono impostati gli archi che a loro volta reggono il soffitto in muratura a spicchi.

Il presbiterio, una volta delimitato da una delicata balaustra di ferro (poi eliminata), conserva tutt'ora l'antico altare barocco in pietra leccese sagomata; in fondo all'abside, poggiato sulla schiena di due leoni, è
Cenotafio dei Castromediano

Cenotafio dei Castromediano
un cenotafio con lunga epigrafe latina, sul quale sono le statue dei marchesi donna Beatrice e don Francesco, vestiti alla moda spagnola, i quali si tengono amorevolmente per mano.

Le pareti laterali della chiesa sono occupate da otto altari piuttosto disadorni (quattro per lato) contenuti entro altrettanti archivolti; solo la faccia inferiore della mensa di ciascun altare è ornata con intagli floreali, eccetto una che presenta scolpito il solito stemma a cinque punte; inoltre, ciascuna pala al di sopra della mensa contiene un dipinto su tela con l'immagine del Santo titolare.

Gli altari si susseguono in quest'ordine: a destra entrando, 1° la Vergine Maria e Santi (il dipinto è assai deteriorato e screpolato), 2° S. Tommaso d'Aquino che discute con gli eretici, 3° l'Addolorata (statua in cartapesta di fattura recente), 4°, di fronte, S. Benedetto e S. Scolastica, la Trinità sotto l'archivolto, una damigella e nove signorini, in basso; lungo la fiancata sinistra sono: 1° S. Raimondo di Peñafort, domenicano, 2° S. Vincenzo Maria Ferreri, con l'illustrazione in quindici riquadri dei numerosi prodigi del Santo, 3° S. Domenico presentato da tre Sante e, ai suoi piedi, seduti don Francesco Castromediano, donna Beatrice e il figlioletto Domenico Ascanio che ha tra le gambe un cagnolino e, posato sul dito indice, un cardellino, 4°, di fronte, la Visitazione, con la Vergine Maria e S. Elisabetta.


S. Benedetto e S. Scolastica S. Raimondo di Peñafort
S. Benedetto e S. Scolastica

S. Raimondo di Peñafort

S. Vincenzo Maria Ferreri S. Domenico di Guzmàn
S. Vincenzo Maria Ferreri

S. Domenico di Guzmàn

L'antico pulpito ligneo è stato conservato, mentre sopra la porta d'ingresso, fissata alla parete, ha trovato più appropriata sistemazione la grande e bella tela intelaiata che presenta Maria SS. con il Bambino, il quale porge la corona del rosario a S. Domenico di Guzmàn tra il tripudio di Cherubini e Serafini.

Alto sull'altare del presbiterio risalta lo stemma dei Castromediano, scolpito su una lastra di pietra.



La cripta
La cripta

La cripta - Intorno agli anni Mille, probabilmente, le famiglie contadine del borgo di Cavallino godettero pure della guida religiosa e dell'influenza culturale bizantina dei monaci basiliani, religiosi cristiani di rito greco; di ciò sono prova sia la cripta scavata nella roccia calcarea e approntata a luogo di culto e sia i nomi calò = bello, buono, adatto, e calìa = casupola (dimora diversa dal trullo) ambedue toponimi di derivazione greca rimasti nel linguaggio locale a designare due antiche zone dell'abitato di Cavallino: lu Calò, la Calìa.

La cripta basiliana si trova - com'è noto - sotto la Chiesa dell'ex convento. Nel pavimento del tempio domenicano si aprono, l'una a destra e l'altra corrispondente a sinistra, due botole (ora chiuse da grate metalliche), le quali mediante due scalette permettono l'accesso giù alla cripta derelitta. Un tempo entrambe le aperture erano protette da balaustrate; Sigismondo Castromediano, infatti, ci informa che soltanto nel 1873, purtroppo, furono eliminate «le due vaghe ringhiere scolpite, le quali lo arricchivano d'un aspetto assai singolare, e per le quali si scendeva nella cripta sotterranea».

L'ipogeo è costituito da un unico locale, di forma rettangolare allungata, scavato nella roccia calcarea, il quale ha per soffitto la struttura pavimentale della Chiesa soprastante e prende luce fioca da un finestrino che è aperto al livello stradale.

La cripta è dotata di un semplice altare centrale e di due altarini laterali; sulle pareti negli interspazi si intravedono tracce di dipinti a fresco con figure indecifrabili; inoltre, nell'impiantito di conglomerato un tempo si apriva una tomba riservata alla sepoltura dei membri della famiglia Castromediano. L'insieme è oltremodo degradato e irrecuperabile.


La facciata incompiuta
Parte superiore della facciata, incompiuta, della chiesa conventuale

Verso la fine del '600, fra' Tommaso Castromediano, figlio cadetto del fu don Francesco, con i proventi della vendita dei propri beni e con il contributo da parte del fratello marchese-duca Domenico Ascanio, nella zona ancora libera compresa tra la Chiesa matrice e la Chiesa conventuale fece edificare uno stabile (dal suo nome poi indicato "Fra' Tumasi" o anche "Frattumasi"), un fabbricato a due ordini quale dipendenza del Convento, comprendente piccoli alloggi per le famiglie povere, per i vecchi soli, per le vedove bisognose, e un ospedaletto e una farmacia.

Di fra' Tommaso rimane il mezzo busto in pietra posto al di sopra del varco laterale del Convento, che immetteva nel retrostante giardino dei frati.

I Domenicani lasciarono il complesso conventuale e il paese di Cavallino nell'anno 1808 allorquando - come già s'è detto - il nuovo Re di Napoli, il francese Gioacchino Murat, sciolse gli Ordini religiosi; ma due anni prima, il precedente sovrano Giuseppe Bonaparte, cognato di Gioacchino, aveva abolito pure il sistema feudale e disconosciuti i benefici e i privilegi politici della Nobiltà; e, pertanto, i due corpi di fabbricato del convento non tornarono in proprietà ai Castromediano che li avevano fatti edificare, ma furono incamerati nel Regio Demanio.

Non si hanno notizie sull'atteggiamento della popolazione alla partenza dei Domenicani; in verità durante i 180 anni di loro permanenza in Cavallino i frati in nessun avvenimento si trovarono coinvolti, in nessun documento vengono citati, di nessun padre guardiano è rimasto il nome: segno che non incisero molto nella società locale, anche perché alle necessità spirituali e ai bisogni religiosi dei Cavallinesi sovvenivano ben dieci preti compaesani, più vicini per vincoli di parentela e di amicizia.

Facciamo ora una notazione interessante. I bilanci comunali del 'paesello poverello' di Caballino non avevano mai consentito di costruire la Cancelleria, ossia la Casa Comunale; precedentemente le riunioni del Consiglio Civico o Decurionato si erano tenute sempre in una sala del Palazzo, sotto la sorveglianza del Signor Marchese. Ma l'anno 1813 il Sindaco Benedetto De Giorgi e i Decurioni comunali ottennero da S.M. il Re Gioacchino che i locali dell'ex convento passassero in proprietà e in usufrutto della Università di questa Terra, cioè del Comune di Cavallino, e finalmente in essi vennero sistemati il Municipio con la cancelleria, l'aula scolastica maschile e l'aula scolastica femminile, l'ufficio delle Guardie con l'annessa cella di sicurezza; in essi, nelle tristi evenienze di epidemie contagiose, veniva approntato il provvisorio ospizio ospedaliero; in essi furono ricavati locali da dare in affitto ai senza tetto.

Successivamente, a cominciare dall'anno 1852, l'imprenditore leccese Quintino Longordo tenne per parecchi anni in fitto, per Ducati 60 di canone annuo, i capienti locali dell'ex convento, dove impiantò un opificio tessile dando lavoro a filatrici, a tessitrici e a manovali, e incentivando nelle campagne del paese la coltivazione del cotone, la piantagione dei gelsi e l'allevamento dei bachi da seta con la conseguente produzione e commercializzazione dei bossoli. Intorno al 1920, infine, il cav. Raffaele Totaro Fila, avendo ottenuto dai Monopoli di Stato una concessione di tabacchi e avendo bisogno di ambienti ampi e adatti alla manipolazione del prodotto in foglie, che cosa va a pensare? Prima costruì nella sua zona 'Villa' prospiciente la piazza uno stabile a due piani con balcone, poi, con autorizzazione prefettizia, cedette al Comune questo fabbricato, che diventò la sede del Municipio, e si prese in pèrmuta l'intero ex convento, che diventò fabbrica di tabacchi della Ditta Totaro Fila. In sèguito al fallimento dell'azienda, questa e i relativi vecchi locali dell'ex convento passarono in proprietà della Ditta Francesco Reale e F., la quale al corpo primitivo del fabbricato aggiunse nella zona retrostante altri androni sia al pianterreno e sia al piano soprastante, locali di tufo, lasciati stonacati, aperti con volte a crociera poggianti su pilastri, tutti adibiti a opificio di tabacchi. La Ditta Reale soltanto l'anno 1984 cedette l'ex convento al Comune di Cavallino, e da allora gli Amministratori diuturnamente pensano a come riutilizzare lo storico fabbricato, che in verità necessita di restauri impegnativi.

Analogamente il corpo di fabbrica di "Fra' Tumasi", dopo essere stato adibito a svariati usi (frantoio oleario, teatro per recite filodrammatiche, opificio di tabacchi) fu acquistato da un imprenditore edile, il quale lo demolì e al suo posto costruì l'attuale palazzo 'Casto', uno stabile condominiale.


L'ex Convento, facciata
L'ex Convento, facciata



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