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Cavallino - I luoghi della memoria
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Il Convento e
la Chiesa del Convento
La Chiesa parrocchiale

La Chiesa parrocchiale

Mentre i Signori Castromediano erano impegnati nelle opere di completamento della loro grande residenza e nei lavori di edificazione del convento e della chiesa dei Domenicani, i Cavallinesi, con decisione forse poco ponderata, verso il 1630 diedero l'avvio ad una rilevante opera architettonica di pertinenza e di patronato della Comunità, quindi del Comune: la costruzione della nuova più grande Chiesa matrice; ma l'impresa si rivelò di molto superiore alle possibilità economiche e finanziarie dei residenti nel feudo, sicché per oltre un settantennio essi si sottoposero a contributi volontari e a sottoscrizioni straordinarie, e, malgrado ciò, il tempio fu completato soltanto per l'intervento votivo personale di alcuni sacerdoti compaesani, che a loro spese fecero erigere alcuni altari.

Poiché in quel tempo (primi del '600) in paese non c'era un altro sacro tempio idoneo da utilizzare per le cerimonie religiose, i progettisti decisero di erigere il nuovo grande edificio mantenendo nel frattempo inglobata la vecchia piccola costruzione, nella quale i riti liturgici potevano continuare ad essere celebrati; ultimate, poi, le principali strutture murarie, l'antica chiesa fu demolita.


La Parrocchiale Processione della Madonna
La ParrocchialeProcessione della Madonna

La Chiesa di Maria SS. Assunta in cielo sorse su piano rialzato per evitare i periodici allagamenti della zona bassa del paese, perciò vi si accedeva mediante sei scaglioni decrescenti.

La costruzione è a una navata coperta da volta a crociere; un transetto, che si allunga in due bracci longitudinalmente opposti, dà alla pianta complessiva la forma di croce latina. Il presbiterio primitivo, in fondo, era chiuso da una parete ad angoli retti e al centro aveva l'altare maggiore intitolato al SS. Sacramento; nel 1887 poi - Sindaco Francesco De Luca, sacerdote - la parete di fondo fu abbattuta e venne sostituita da un'abside semicircolare con il coro ligneo, e in un nicchione incavato nel muro dominava dall'alto la statua dell'Assunta.

Il pavimento era fatto di lastre quadrate di pietra leccese; ai lati lunghi erano sistemate a distanza regolare delle botole che corrispondevano a ben quattordici sepolture scavate sotto l'impiantito; un'altra tomba era situata sotto il lastricato del presbiterio dietro l'altare maggiore, ed era riservata per privilegio agli ecclesiastici; altra sepoltura era stata ricavata nella cappella di patronato dei Castromediano, la botola si apriva proprio accanto al monumento funebre; e se leggiamo attentamente, l'epigrafe del cenotafio ci informa che lì da 300 anni, dunque sin dal 1330, venivano deposte le ossa degli avi defunti, la qual cosa ci fa ritenere che nel posto dell'attuale fastoso sepolcro c'era, nell'antica chiesa preesistente, una semplice tomba gentilizia.

Ma i vapori degli ossari sotterranei, dilatandosi e premendo, facevano qua e là gonfiare e ingobbire il lastricato dell'edificio, sicché la chiesa richiedeva periodici lavori di rifacimento e di restauro - ce ne danno notizia i verbali delle delibere del Decurionato .

Il sacro tempio seicentesco ha il prospetto diviso in due ordini da una fascia marcapiano. Nell'ordine superiore della facciata, liscia e semplice, si apre al centro una finestra a vetri colorati smussati e sagomati combacianti ad arte, i quali con metodo musivo compongono la figura di S. Domenico di Guzmàn; la sommità del frontone è a timpano a doppio spiovente, interrotto in cima al centro per situarvi il beccatello della croce.


Il finestrone con S. Domenico L'interno del tempio
Il finestrone con S. DomenicoL'interno del tempio

L'ordine inferiore, di stile barocco, presenta in due nicchie laterali sormontate da lunetta le due statue in pietra di S. Francesco da Paola, a sinistra, e di S. Pietro apostolo, a destra; tra le due nicchie s'innalzano due colonne corinzie poggianti su plinti, le quali affiancano il portale, sopra il cui architrave scalpellinato ad arte sono poggiate delle composizioni floreali in pietra, che fanno da ornamento alla statuina di Gesù ragazzino posto in una nicchietta con pinnacolino.

All'interno dell'edificio i lavori di rifinitura avanzavano lentamente e, a volte, facevano lunga pausa quando si succedevano anni di carestia e quando si diffondeva qualche grave epidemia; così avvenne tra il 1655 e il 1659 allorché a causa del colera la popolazione di Cavallino diminuì di 180 individui passando da 760 a 580 residenti.

Strutturalmente all'interno della chiesa gli spessissimi muri laterali in corrispondenza dell'ordine inferiore si mutano in pilastri che, appaiati e congiunti da arcate a tutto sesto, formano come otto edicole, quattro per lato.


Il portale
Il portale tra le statue dei Ss. Francesco da Paola e Pietro apostolo

Entrati nella Chiesa per il portale principale, a destra troviamo l'altare di S. Antonio di Padova,
Altare di S. Antonio da Padova

Altare di S. Antonio da Padova
che l'epigrafe dice essere stato eretto nell'anno 1601 (evidentemente fu recuperato dalla chiesa precedente e ricostruito in questa); la scritta spiega chiaramente che questa sacra edicola per disposizione testamentaria del sacerdote don Francesco Ciullo fu eretta a spese degli eredi; l'altare è contenuto tra due colonne, scolpite nella parte inferiore a motivi floreali e scanalate nella parte superiore, le quali reggono una trabeazione semplice e lineare; là dove in origine c'era una tela con il dipinto del Santo, ora c'è un nicchione che accoglie la statua di cartapesta del taumaturgo di Padova, pregevole opera del maestro G. Manzo di Lecce.

Nell'edicola successiva è l'altare dedicato alla Regina Vergine Immacolata e all'Arcangelo Michele; anche qui due colonne ornate di gigli e steli simmetrici sostengono la trave sulla quale una epigrafe attesta che questo altare fu fatto erigere nel 1687 dal sacerdote don Domenico De Pandis di Cavallino; la tela centrale, assai annerita, presenta l'Immacolata, l'Arcangelo Michele e, ritratto più in basso, S. Ippazio, un Santo molto venerato dai Cavallinesi del tempo, essendo numerosi i maschi cui veniva dato il nome Ippazio.

Oltrepassato il vano della porta laterale destra, ecco l'edicola di S. Giovanni Elemosiniere, il cui culto era vivissimo nel casale di Morciano; l'altare fu eretto nel 1703 per devozione e voto di don Fortunato Castromediano marchese di Cavallino e duca di Morciano, il quale lo dotò di una rendita che consentiva la celebrazione di cinque messe solenni annue; il dipinto presenta il Santo Vescovo e, ai suoi piedi, ritratti a metà figura e nei costumi spagnoli di moda, don Fortunato, la moglie donna Vittoria Capece e una giovanetta; due colonne a torciglione, riccamente ornate di fogliame con frutta e qualche uccellino fra i tralci, reggono l'architrave su cui è un piccolo fastigio; in alto, nel riquadro ora vuoto, c'era un tempo la tela di S. Maria della Purezza; in alto al centro e in basso sui plinti delle colonne sono scolpiti tre scudi gentilizi emblemi del casato dei Castromediano.

All'interno dell'ultimo pilastrone è murata la scaletta che un tempo portava al pulpito ligneo, eliminato l'anno 1972,
Altare di S. Giovanni elemosiniere

Altare di S. Giovanni elemosiniere
dal quale valenti predicatori declamavano i solenni panegirici, impegnati a riscuotere il consenso e il plauso da parte degli ascoltatori che gremivano il sacro tempio.

Sempre sulla destra, prolunga il transetto la Cappella di S. Benedetto: una lastra marmorea attesta che «I Castromediano de Limburg - Duchi di Morciano e Marchesi di Caballino - Riserbandosene l'iuspatronato - Nel secolo XVII rifecero questa cappella»; di fronte c'era l'altare del Santo titolare, difatti un'altra targa marmorea informa che «Intitolata a S. Benedetto - Il Duca Sigismondo Castromediano - Antico voto adempiendo - Questo altare rifece - 1894» (un anno prima di morire). Oggi, però, la Cappella è detta del Santissimo, sopra l'altare frontale c'è un elegante ciborio e, al posto dell'antica tela, alta e luminosa si staglia la bella statua in cartapesta del Sacro Cuore di Gesù, pregevole lavoro di G. Manzo di Lecce.

Appoggiato alla parete di destra c'è un secondo altare: è intitolato a S. Giorgio, il cui dipinto purtroppo è molto deteriorato; le due colonne scanalate rastremate reggono la finta trave, al di sopra della quale una epigrafe ripete che ai Castromediano è riservato il "iuspatronato" della Cappella.


Altare del Santissimo Altare di S. Giorgio
Altare del SantissimoAltare di S. Giorgio

Alla parete di sinistra nella medesima Cappella gentilizia è addossato il monumento tombale dei Signori feudatari del casale di Caballino, fatto erigere l'anno 1637 da don Francesco sopra una vecchia semplice tomba dei Castromediano stessi; tre animali con testa di donna reggono sulla schiena un cenotafio, il quale presenta una lunga epigrafe latina in cui si legge, tra l'altro, che "qui sono le ossa dei Castromediano sin dal 1300 e recentemente la crudele Morte ha reciso le vite della madre dilettissima donna Lella Sansovino nel 1631, e della moglie carissima donna Beatrice Acquaviva d'Aragona nel 1637, lasciando in lacrime inconsolabili don Francesco 1° Marchese di Caballino, Duca di Morciano e Cavaliere dell'Ordine di Calatrava".


Cenotafio della famiglia dei Castromediano
Cenotafio della famiglia dei Castromediano

Sopra l'epigrafe è scolpito lo stemma gentilizio e, in cima a un timpano a volute, c'è il busto di fra' Tommaso Castromediano, figlio di don Francesco. Tutto l'insieme, di stile barocco, è contenuto tra due colonne corinzie, in ciascuna delle quali sono fissati tre semibusti in pietra di personaggi defunti, che sono dall'alto in basso:

Don Gi… Don Gio: Antonio
Donna Lella Donna Beatrice
Don Ascanio Don Francesco

Una nota curiosa - Cinquanta anni fa, tale Achille Vernazza, pronipote di Anna Vernazza, la moglie infedele del marchese-duca don Gaetano Castromediano (morto il 1798), cercò, ma senza effetto, di far ripristinare e farsi riconoscere dal parroco don Teodoro Gigante (già cieco e vecchio) e dal giovane coadiutore don Giuseppe Baldassarre l'antico "iuspatronato" sulla Cappella ex nobiliare; al vescovo di Lecce mons. Francesco Minerva, tuttavia, il duca presuntuoso strappò il consenso di 'ripulire' semplicemente la cappella e pure il vicino altare di S. Giovanni Elemosiniere; e, pertanto, ottenne (dietro pagamento di quanto obolo?) di fissare alla parete, per conto e in nome dell'ingenua seconda moglie venuta da Roma, una lastra marmorea che pomposamente ricorda: «Nel 1946 - Maria - Vernazza Castromediano - di Limburg - nata Nini - di questa cappella e dell'altare di S. Giovanni - patrona - restaurò corredò abbellì».

Ripartendo dall'ingresso principale, questa volta a sinistra osserviamo l'altare di Sant'Anna eretto - dice l'epigrafe - nel 1703 per desiderio e a spese dell'arciprete don Giacobbe De Rinaldis; due colonne in parte ornate di motivi floreali e in parte scanalate contengono tra loro una cornice che a sua volta inquadra il dipinto (leggibile a fatica) di Sant'Anna morente assistita dalla figlia Maria Vergine, da S. Giuseppe e da Gesù ragazzo; sui capitelli delle colonne poggia l'architrave e proprio sotto l'archivolto è la statuetta di S. Vito.

L'altare che segue, eretto nel 1686, fu intitolato alla Vergine della Pietà; esso offre i consueti motivi architettonici e ornamentali di stile barocco: tra due colonne a spirale, ornate di festoni e qualche faccino di putto, è la tela, annerita, con la scena pietosa di Maria afflitta e dolente che dona la sua misericordia al figlio Gesù deposto dalla croce; le è vicino S. Giovanni l'evangelista; in basso è la raffigurazione delle anime purganti che sono per essere redente dalla passione del Cristo. Fra la trabeazione dell'altare e l'archivolto dell'edicola c'è la statuina di S. Eligio.

Nell'edicola successiva - come risulta dal verbale della Santa Visita del 1748 - fu eretto l'altare intitolato a S. Francesco Saverio e nel fastigio era posta la statuina di S. Oronzo; ma agli inizi dell'800 l'altare fu demolito e nel vano risultato libero tra i due pilastroni fu praticata un'apertura che dava accesso nel campetto del "Calvario".


Il battistero Altare della Vergine
Il battisteroAltare della Vergine del Monte

Era questo un luogo sacro caro ai Cavallinesi, i quali, passandovi davanti, si scappellavano e si segnavano mentre allungavano lo sguardo alle scene del Golgota dipinte a fresco sulla faccia dell'ampio muro, molto arretrato rispetto alla via dell'Annunziata; poi l'anno 1954 il Calvario fu eliminato per costruirvi l'attuale canonica dalla disdicente facciata, e allora la porta secondaria e superflua della chiesa fu murata, e nel vano del sacello tornato sgombro, successivamente nel 1972, venne sistemato il battistero, un complesso moderno opera dell'artista Francesco Natale di Cavallino.

Segue l'altare consacrato alla Regina degli Angeli, eretto - come dice l'epigrafe - nel 1686 per voto dell'arciprete rev. don Benedetto Ingrosso e restaurato nel 1707 dal nipote rev. don Oronzo Ingrosso; la tela dell'altare presentava la Vergine Maria, e l'icona sull'architrave raffigurava S. Lucia; poi, il tutto fu abbattuto: si salvò soltanto il putto nell'alta piccola nicchia.

L'altare odierno è dedicato alla Vergine Maria del Monte ed è stato rifatto nel 1921: tra due colonne a sezione quadra, ornate con un elegante tralcio, è collocato il plastico in cartapesta che rappresenta il ritrovamento del dipinto su pietra sotterrato della nostra Madonna del Monte. Il maestro cartapestaio leccese G. Manzo, un vero artista, realizzò ad altorilievo la Vergine con il Bambino, che si staglia nel cielo celeste festeggiata dai Cherubini; giù, l'ignaro contadino strattona uno dei buoi che è intento a scovare… una icona celata nella grotta. Lo sguardo dell'osservatore è pure piacevolmente attratto dallo scorcio del paesello di Cavallino riprodotto sullo sfondo con il suo tipico campanile svettante in prospettiva.

Più oltre è la Cappella del Rosario, che costituisce il braccio sinistro del transetto; in origine, alle tre pareti furono addossati altrettanti altari, che ora non ci sono più. Di essi, a sinistra, è rimasta incorniciata la tela che presenta in alto l'immagine della Madonna venerata da due Angeli, e poi le figure di S. Giuseppe patriarca e di S. Teresa, la quale posa la mano protettiva sulla testa di due giovani suore (figlie di qualcuno dei marchesi?).


Tela di S. Giuseppe e di S. Teresa Tela della Madonna del Rosario
Tela di S. Giuseppe e di S. TeresaTela della Madonna del Rosario

Sulla parete di fronte è appesa la tela (assai deteriorata) della Madonna del Rosario, sul quadro è scritto l'anno 1574 e questo ci fa ritenere che il dipinto pervenne dalla chiesa precedente; la Vergine Maria porge la coroncina del rosario a S. Domenico di Guzmàn e a S. Caterina da Siena.

Del terzo altare della cappella, intitolato a S. Leonardo, sono rimasti il fastigio con un putto in cima,
La porta della sagrestia

La porta della sagrestia
e le due colonne quadre ai lati; tra queste fu praticata la porta che mena alla sagrestia.

Questa, oggigiorno - parroco mons. Luigi De Filippo - è dotata di una ricca raccolta di paramenti sacri, cotte, stole, pianete, dalmatiche, alcuni capi veramente pregiati, collezionati dall'attivissimo Elio Inizio, accolito e organizzatore della periodica mostra delle innumeri sacre effigi della Madonna.

Il presbiterio è stato del tutto rinnovato nel 1972 secondo i suggerimenti liturgici dettati dal Concilio Vaticano II.

In fondo all'abside, al posto della antica statua della Assunta, domina l'imponente scultura in legno d'ulivo del Crocifisso, lodevole e meritevole opera del maestro cavallinese Francesco Natale; al posto del vecchio coro è la pedana con i seggi dei celebranti; al centro, là dove una volta c'era l'altare marmoreo barocco, ora c'è la mensa, la cui faccia frontale è foderata da una composizione lignea raffigurante Gesù e gli Apostoli riuniti per l'ultima cena, pur essa valida opera dello scultore F. Natale.

La volta a semicupola dell'abside contiene il dipinto a fresco, non bello, della Vergine Maria Regina Assunta in Cielo osannata da Cherubini e Serafini, eseguito nel 1972 dal pittore Luigi De Mitri, leccese.

Attiguo alla Chiesa parrocchiale, nell'anno 1787 il marchese di Cavallino don Gaetano Castromediano fece erigere dall'architetto Caiaffa di S. Cesario il campanile, che, con i suoi due ordini soprastanti le terrazze dell'edificio e con il caratteristico cupolino sormontato dalla croce di ferro, si innalza sino a 43 metri dal suolo.

Si rammenta a titolo di curiosità che nel Settecento erano numerosi i giovani figli di campagnoli e di artieri che, per salire di un grado
La sacra mensa e il Crocifisso

La sacra mensa e il Crocifisso
nella gerarchia sociale, decidevano (o erano costretti) di farsi prete, sicché, per conferma, troviamo che nel paesello di Cavallino c'erano, nel 1720, 11 sacerdoti e 1 chierico; nel 1748, 10 sacerdoti; nel 1793, 7 sacerdoti e 3 chierici, su una popolazione che nell'anno 1800 ammontava ad appena 800 abitanti.

Essi, oltre i proventi di stola bianca e di stola nera, si dividevano, secondo sempre aggiornate tabelle capitolari, le rendite nette della Parrocchia provenienti: da 1481 alberi d'ulivo, da 25 tomoli di seminativi, da 5 orte (50 are) di vigneto, 1 abitazione data in fitto e gli interessi annui di 1.028 Ducati depositati a frutto.

La Chiesa matrice nel fianco destro aveva una semplice apertura, una misera entrata riservata all'ingresso dei cortei funebri, e lungo tutta la parete all'esterno correva un sedile in pietra, dove sedevano i familiari affranti del morto e ascoltavano le ultime note della marcia funebre eseguita tradizionalmente dall'immancabile banda locale.

Nel 1892 il Consiglio Comunale - Sindaco il cav. Raffaele Totaro Fila - deliberò di presentare un'entrata più degna ai defunti e trasformò l'umile porta in portale, arricchito da due colonne pseudo ioniche reggenti una trabeazione barocca con composizioni floreali in pietra e una nicchietta con la statuina, ora priva della testa, di S. Giovanni Elemosiniere.


La Regina assunta in cielo, affresco
La Regina assunta in cielo, affresco

Intorno al 1775 il marchese don Giacinto Maria II Castromediano sulla facciata destra del suo palazzo, allora sgombra e libera allo sguardo dei passanti, fece impiantare un oriuolo meccanico a pesi, muto però, e di esso ancora oggi si possono vedere le tracce dipinte, di colore rossastro sbiadito, del quadrante con il foro centrale delle lancette e i numeri romani delle ore.

Tolte poi ai feudatari, nel 1806, ogni potestà pubblica e ogni funzione civica, le spese del funzionamento e della periodica manutenzione dell'orologio (D.ti 5:0 annui) passarono a carico del Comune; il 1851 il Decurionato stanziò grana 70 all'oggetto, giacché « …era da qualche tempo che al pubblico oriolo vi abbisognavan le funi per i suoi pendoli onde così poter fare recolarmente il suo diurno, e notturno corso… ».


Il campanile L'orologio
Il campanileL'orologio

Ma l'anno 1893, - Sindaco Pietro Forcignanò - l'Amministrazione comunale, in alto sulla terrazza della chiesa, sulla verticale del portale secondario, fece impiantare un nuovo orologio meccanico più funzionale, che segnasse e suonasse con i rintocchi di due campanelle le ore, le mezze ore, i quarti d'ora, lieti e tristi, della vita operosa della popolazione cavallinese, la quale precisamente nel 1895 contava 1.779 abitanti, tra cui: 80 elettori politici, 177 elettori amministrativi, 4 preti, 2 medici, 1 farmacista, 1 maestro e 1 maestra elementare, 2 levatrici non diplomate (mammane), 1 cencelliere-segretario comunale, 1 conciliatore, 60 artieri e, i restanti, tutti campagnoli, distinti in massari, coltivatori diretti, braccianti, coloni, ortolani.

Tutti però, professionisti, artieri, contadini, sacerdoti, appartenevano al ceto popolare, uniti in rapporti di amicizia e di parentado, e conducevano generalmente un'esistenza rassegnata e paziente nell'obbligata austerità, confortata tuttavia da reciproco senso di solidarietà umana; tutti, comunque, fiduciosi nell'avvenire e, per ciò stesso, dediti al lavoro costante e impegnati a incrementare la propria discendenza.

Per 480 anni i nostri antenati vissero succubi del loro signore feudatario, unico proprietario e unico padrone; solo all'inizio del XIX secolo i nostri predecessori diventarono cittadini liberi e uomini responsabili della loro ventura terrena; tuttavia continuarono a condurre un'esistenza umile e stentata come prima; e solamente verso la metà dell'Ottocento i nostri avi cominciarono ad avvertire e a percepire i nuovi valori di dignità umana, di giustizia sociale e di libertà politica, e se ne impadronirono e ce li trasmisero, questi diritti, come prezioso retaggio.

Le stirpi del passato continuano a vivere nel presente; successivamente altre nuove famiglie si sono formate, altre si sono aggiunte e armonizzate: tutte insieme (inclusi i nuclei familiari dei recenti rioni S. Giorgio e Castromediano) costituiscono ora la comunità cavallinese. Dunque, a tutti quest'opera di argomento topografico, urbanistico, architettonico, artistico e, in certo qual modo, anche storico, vuole offrire l'opportunità di rivisitare i luoghi della nostra memoria e di riandare alle radici sociali, per conoscere meglio chi siamo, da dove veniamo, di quale società facciamo parte.


Panorama della piazza




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