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Luigi II (1437-1526), 11o barone |
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I CASTROMEDIANO
Il potere dei baroni diminuisce
I viceré, secondo le direttive sovrane, cominciarono subito ad attuare una politica accentratrice mirante a rafforzare l'autorità dello Stato a scapito del potere autonomo e velleitario dei feudatari infidi e privi di senso dello Stato. Nel 1507, per esempio, i baroni leccesi furono costretti ad accettare un'imposizione politica amministrativa che diminuiva le loro prerogative di potere e di autonomia. Il 26 settembre, infatti, i signori Luigi Castromediano, Francesco de Monteroni, Giannantonio e Nicola de Noha, Antonello de Rosa, Antonio Corso e Federico Prato furono convocati per riconoscere al Capitano della provincia di Lecce la facoltà di nominare nei singoli feudi i Camerlenghi. Il camerlengo aveva il compito di custodire per conto del Fisco Regio i beni e le finanze di pertinenza della Regia Corte; tale rilevante incombenza prima spettava al barone il quale la esercitava a sua discrezione e a suo interesse e vantaggio; ora tale specifico ufficio gli fu tolto. Il primo a firmare l'atto fu il barone Luigi II, che di suo pugno aggiunse: Ego Loysius de Castromediano baro Caballini accepto la presente peticione et mano propria me subscripsi.1
Inoltre, in precedenza se sorgeva una lite tra cittadini leccesi e vassalli cavallinesi e l'oggetto della contesa si trovava nel territorio di Cavallino, spettava al barone discutere, dirimere e comporre la causa giudiziaria in prima istanza. Il 7 agosto 1509 il Viceré tramite il Governatore di Terra d'Otranto fece recapitare agli interessati l'ordinanza secondo cui d'ora in poi i cittadini leccesi in qualunque circostanza, caso e luogo potevano essere convenuti soltanto davanti al Capitano di Città e non più giudicati dal barone; il quale d'ora in poi conservava la giurisdizione delle cause civili soltanto sui propri vassalli. Per questi e altri motivi, sempre più feudatari mossi da rancore diventavano insofferenti del crescente autoritarismo del viceré spagnolo e con favore guardavano ai tentativi dei Veneziani di impadronirsi degli approdi del Salento, assai idonei per i loro traffici marittimi.
La casa Castromediano fu sempre fedele alla Spagna. Quando, nel luglio del 1509, il Marchese della Padula, Governatore di Lecce, invitò i baroni salentini a unire le loro forze e intervenire per liberare il porto di Otranto, occupato dalle galee veneziane, pochi si mossero. Prontamente, invece, accorse con un suo squadrone il baroncino Sigismondo Castromediano, figlio del barone Luigi II di Cavallino.
Nel viceregno intorno al 1522 si rinnovò l'allarme a causa del tentativo della Francia di impadronirsi delle province italiane. Come al solito le genti e i baroni salentini si divisero in filofrancesi e in filospagnoli. Il barone di Cavallino Luigi II Castromediano fu uno dei capi del partito favorevole alla monarchia spagnola, e per questa ulteriore prova di fedeltà, l'anno 1523 don Luigi II ebbe dal viceré, sebbene personalmente avverso al sistema feudale, il beneplacito di acquisire la rimanente parte del feudo di Morciano, possessione della famiglia Capece, cui apparteneva sua moglie donna Ruzia.
A. D. 1523 - A 12 frebbaro sortì di notte tempo una sì fiera burrasca in mare che tale non si era mai veduta e pareva che volesse subissare la terra, tanto che diversi bastimenti naufragarono in queste nostre marine e fece molto danno agli alberi delle olive che ascese a più e più migliaia di docati, spiantò case, diroccò masserie buttando a terra li parieti di quelle, che caggionarono grande mortalità al bestiame tanto grosso quanto minuto.
E nel mentre faceva tale temporale sopraggiunse una grandine a guisa di pietre che fornì di desolare gli alberi ed ogni altro, e dissipò talmente l'entrata delle olive che tutti i padroni e compratori di quelle si viddero in un punto impoveriti né le poterono più raccoglierle stante si trovarono coverte di terra, senza gli altri notabilissimi danni fatti ai seminati che non furono più in stato di riaversi. Tale grandine fu quasi generale per la Provincia tutta, onde sembra che fosse stato un effettivo gastigo del Signore col quale abbia voluto affliggere questa Città per li suoi grandi peccati. Il Signore ce la mandi buona per l'avvenire.2
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