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Sigismondo incarcerato
Informato che i gendarmi lo cercavano, Sigismondo per maggiore prudenza decise di nascondersi in luoghi occulti del suo solitario villaggio, dove poteva contare sull'aiuto dei suoi parenti. In settembre furono catturati Nicola Schiavoni gentiluomo, Nicola Valzani sacerdote, Michelangelo Verri operaio, e Leone Tuzzo studente.
Il Castromediano stesso raccontò:
Ad esular quindi mi decisi anch'io, e non potendo dal mio covo ricercare i mezzi, fu giocoforza andarli a rinvenire in Lecce. …ma quando un imbarco per l'Albania erasi convenuto, fui tradito, e al terzo giorno arrestato… (in Lecce, il giorno 30 ottobre 1848) con la pesantissima accusa di «cospirazione commessa in illecita associazione per più giorni dal 29 giugno suddetto in poi, ad oggetto di distruggere il Governo e di eccitare i sudditi e gli abitanti del Regno ad armarsi contro l'autorità reale»1.
Fu condotto prima nelle Carceri Centrali, poi nella prigione succursale "S. Francesco" di Lecce. Qui trovò gli amici: Nicola e Giovanni Schiavoni fratelli di Manduria, barone Benedetto Mancarella, dottor Domenico e avvocato Giuseppe Corallo fratelli, Enrico Licci giureconsulto, Giuseppe De Simone cieco gentiluomo, Gaetano Madaro sarto, Andrea Verri operaio, Pasquale Persico architetto, Francesco Buia, Leone Tuzzo studente, Carlo ed Enrico D'Arpe cugini studenti; costoro e altri, in tutto trentasei accusati di cospirazione e insurrezione contro S. M. il Re Ferdinando II, rimasero concentrati nel carcere cittadino, in attesa di giudizio.
Restaurato l'ordine nel Regno, agli inizi del 1850, per implicito incarico del Ministro degli Affari interni, gli Intendenti delle Province si misero a "suggerire" a tutti i Sindaci del Reame di domandare a S. M. il Re (come se fosse loro iniziativa!) di abrogare con decreto la Costituzione del 1848, causa di tanti mali per la nazione.
In Provincia di Terra d'Otranto soltanto alcuni Consigli civici si rifiutarono di deliberare in merito (tra i pochi, Nardò e Galatone). Il Signor Intendente Carlo Sozi-Carafa, fingendo di essere capitato per caso in Cavallino, venne ed ebbe un abboccamento con il Sindaco Oronzo Nicola Ingrosso e con il Decurione Segretario Giuseppe Marchiello.
In quella occasione la signora Costanza Castromediano-Casetti ansiosa e rispettosa chiese al Sig. Intendente se c'era speranza di rivedere presto libero suo fratello Sigismondo. E Sozi-Carafa, come se la sentenza fosse già decisa, risoluto rispose: «Oh no, vostro fratello è un ribelle, e i ribelli debbono rimanere tutta la vita tra i ferri che li avvincono»2.
Il detenuto politico Sigismondo Castromediano, tramite suo fratello Chiliano, mandò a dire ai Decurioni amici di non votare l'appello suggerito; tuttavia il Decurionato cavallinese si pronunziò a favore del corrispondente ordine del giorno.
Informato dell'esito della votazione antitetico con il suo suggerimento, il duchino Sigismondo molto se ne rammaricò e ancor più si persuase che nella massa amorfa dei popolani duravano anzitutto l'ignoranza e l'egoismo e persisteva la mancanza di ideali.
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