Home Page | Inizio della pubblicazione | |
Sigismondo Castromediano | ||
Capitolo precedente: | Capitolo 6 | Capitolo successivo: |
Sigismondo incarcerato | La condanna | Carceri e galere borboniche |
La condanna
Il processo contro i 36 detenuti politici ebbe inizio, presso la Gran Corte Speciale di Terra d'Otranto, il 28 agosto 1849 e fu concluso il 2 dicembre 1850 - Presidente fu Giuseppe Cocchia, Procuratore accusatore fu Francesco Paolo Chieco. In sostanza, agli accusati venivano contestati reati di opinione piuttosto che atti di terrorismo.
Nel corso del dibattimento, a ciascuno imputato, dopo l'arringa del proprio difensore, era data la facoltà di fare un'ultima personale dichiarazione. Ognuno riconfermò la propria convinzione politica, con differenti espressioni ma tutte consone ai concetti efficacemente gridati dal canonico Salvatore Filotico, il quale ribadì: «Anarchico no, repubblicano nemmeno, ma liberale costituzionale sì, lo fui e continuerò ad esserlo per la vita»1.
Il duchino Sigismondo così chiosò: il Presidente Cocchia, …dopo aver detti improperii contro il Circolo e più contro Mazzarella, facendo menzione di me profferì le seguenti parole: "Io non so come quest'uomo le cui virtù, il cui ingegno, e gl'illustri natali sono noti abbia potuto esser trascinato dalle illusioni del '48".2
E l'avvocato difensore Pasquale Ruggieri, dopo avere scagionato il suo protetto con prove evidenti e con motivi convincenti, così concluse l'appassionata arringa: Il duca Castromediano, uomo ineccepibilmente onesto e cittadino lealmente liberale, «il mio raccomandato non ha altra colpa se non quella di aver amato fortemente, sinceramente la patria».3
Il Pubblico Accusatore Chieco, un ex carbonaro (oggi diremmo un 'carbonaro pentito'), per il Castromediano, lo Schiavoni, il Verri e il Tuzzo chiese la pena «dell'ultimo supplizio», cioè l'impiccagione «al laccio col terzo grado di pubblico esempio, cioè da trascinarsi sul luogo del patibolo a piedi nudi, coperti di tunica nera, col velo sul volto e alle spalle una tabella d'infamia».3
Purtroppo, per il liberale moderato cavallinese Sigismondo Castromediano ebbe peso preponderante e, quindi, fu motivo aggravante, l'essere egli un Nobile, un discendente dei baroni, marchesi, duchi Castromediano, signori feudatari sempre privilegiati, sempre favoriti dai Sovrani napoletani. Comprensibile la ribellione di un civile, di un intellettuale borghese; ammissibile pure la rivolta di un popolano, misero, pezzente…; ma nemmeno immaginabile, e perciò stesso maggiormente punibile, il tradimento di un nobiluomo!
Comunque, Sigismondo avrebbe potuto benissimo seguire il consiglio di un membro della Gran Corte, il quale gli suggeriva di difendersi, di avanzare giustificazioni, di palesare ravvedimento, di fingere pentimento… No. Integerrimo qual era, rispettoso di se stesso, fedele alle proprie idee politiche che riteneva cònsone alla realtà italiana, mantenne la sua dignità, e difese, con il suo retto e altero comportamento, la sua etica morale, e non tradì la sua convinzione politica di liberale italiano, di nazionalista unitario.
Terminato il dibattimento, la Corte si ritirò in camera di consiglio per deliberare. «Frattanto gli amici e i congiunti nostri avevano ottenuto di farci giungere qualche rinfresco che io non volli toccare, ed invece andai a sedere, occupando la sedia a bracciuoli di uno dei miei giudici. Ivi, concentrato in me stesso, pensai che tra poco era per addivenire irremissibilmente o un galeotto o arnese da patibolo: di tornare libero, nella mia mente nemmeno un lampo. Pensai a Dio; pensai al futuro coperto da profondo mistero; pensai a mio padre e ai miei fratelli lontani e alle ambasce delle sorelle; pensai… e pregai… Pregai pel mio paese, per l'anima della madre mia (cara mestizia in quell'istante!), ma sopraffatto dalla stanchezza mi addormentai. Il giudice della sedia su cui posai, nel mio caso, non avrebbe fatto lo stesso».4
Alla fine la Gran Corte Speciale di Terra d'Otranto, alquanto benigna, emise la sentenza e comminò le seguenti condanne definitive:
Immediate considerazioni del Castromediano:
Trent'anni! Addio sorrisi di mia vita nel pieno del suo vigore! Addio bei giorni, addio speranze, addio affetti ed avvenire!… Il mio nome da ora consideratolo come tra i defunti; non potrò mai più ergermi a capo di una famiglia; e pure v'era chi fortemente mi amava (la cugina M. Domenica, figlia dello zio Giov. Battista Castromediano), una bella, nobile, e assai rara fanciulla… Trent'anni, per aver aspirato a libertà! …facea d'uopo di coraggio, e tanto ne raccolsi da non mostrarmi schiacciato….6
E dunque, Sigismondo, il nostro concittadino, è da ritenere un patriota secondario o addirittura un 'travicello' che si trovò ad essere travolto dalla bufera dei tempi e trascinato dagli eventi politici senza una sua consapevole coscienza e volontà? No, assolutamente!
Se pure non salì sulle barricate, se nemmeno fece il tribuno di piazza, se pure rifuggì turbato dal programma rivoluzionario mazziniano, se pure, proprio per il suo carattere mite e capace di autocontrollo, egli rimase apparentemente sereno, a qualcuno sembrò quasi apatico, durante tutto il processo…; concentrato in me stesso - scriverà poi nelle Memorie - pensai a Dio; pensai al futuro coperto da profondo mistero… pensai… e pregai…; se pure, insomma, Sigismondo non fu uomo d'azione ma fu piuttosto uomo di pensiero, …certamente no: non è da ritenere meno ardimentoso, meno eroico e meno degno di ammirazione rispetto agli altri patrioti, eroi nazionali. Egli, in verità, deciso si predispose ad affrontare la severissima spropositata pena inflittagli "sol per amor di Patria" con patetico spirito di sacrificio e con indulgente mitezza d'animo, senza dubbio fiducioso nella Provvidenza.
Home Page | Inizio della pubblicazione | |
Sigismondo Castromediano | ||
Capitolo precedente: | Capitolo 6 | Capitolo successivo: |
Sigismondo incarcerato | La condanna | Carceri e galere borboniche |