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Sigismondo Castromediano | ||
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Sigismondo in ritiro nel suo paesello
Dal 1875 al 1879 Sigismondo, insieme con l'amico sacerdote don Pasquale De Matteis, fece anche parte del Consiglio comunale di Cavallino, mentre Sindaco era il sacerdote don Giovanni Battista De Giorgi, detto papa Titta.
L'anno 1878, ritenendo ormai compiutamente svolte, puntualizzate, corrette, le sue Memorie, diede inizio alla composizione di una monografia sul suo caro paese natìo, lavoro che intitolò Caballino comune presso Lecce e l'antica Sibaris in Terra d'Otranto che comprendeva i seguenti argomenti: Rovine dell'arcaica città messapica, Cronaca, Moderno abitato, I Caballinesi, Usi e costumi. Il lavoro storico intellettuale fu scritto, riveduto, corretto, riscritto in tre successive diverse stesure e portato avanti sino al 1894; purtroppo, come tutti gli altri scritti dell'autore cavallinese, rimase manoscritto e inedito, chiuso nel cassetto dello scrittoio1.
Nel 1892 il poeta vernacolo cavallinese Giuseppe De Dominicis (1869-1905), avendo pronta per la stampa la sua prima raccolta di poesie in dialetto leccese intitolata Scrasçe e Gesurmini, chiese al venerando don Sigismondo Castromediano e benignamente ottenne la Prefazione all'opuscolo.
Il duca, che era stato educato alla cultura umanistica e ad un tempo romantica e idealistica, che aveva assunto uno stile nobile, ricercato e antichizzato, apprezzò e lodò l'ingegnoso versificatore dialettale compaesano, che si presentava con lo pseudonimo di Capitano Black; tuttavia - egli concluse nella Prefazione - «…un solo rimprovero ho da fare al poeta, e glielo fo da padre, più che da critico, per lui avendo ammirazione ed affetto: Egli cade talora nei lacci della più triste scuola che disgraziatamente infesta i nostri giorni: quella del verismo, e che a me pare il controsenso dell'arte e della poesia, anzi lo sforzo ultimo di ridurre l'arte a meccanico mestiere»2.
Però il tempo è trascorso. Ormai Sigismondo è stanco nello spirito e malato nel corpo, raramente scende dal palazzo per trascorrere un'oretta nella farmacia dell'amico Donato Murrone, più spesso sono gli amici ad andare a tenergli compagnia nella sua dimora. Addirittura, negli ultimi tre lustri di sua vita si allontanò solo tre volte da Cavallino: nel 1883, su invito dell'on. Gaetano Brunetti si portò a Lecce per incontrarsi con il ministro Alfredo Baccarini consigliere del re; nel 1889 si fece accompagnare al Museo di Lecce, per salutare e riverire S. M. Umberto I re d'Italia e il Presidente del Consiglio Francesco Crispi, i quali lo abbracciarono e lo complimentarono; nel 1893 venne un'ultima volta a Lecce, come ospite d'onore, in occasione della inaugurazione della bandiera della Società Ginnica Giovanile. Consegnando il tricolore, egli con voce commossa disse: «Giovani, la generazione che soffrì per il trionfo di questa bandiera già scompare dalla vita; questa bandiera io la consegno a voi, o giovani, a patto che la serbiate incontaminata»3.
Talora vennero amici vicini e lontani per riverirlo; anche alcuni viaggiatori esteri (come Janet Ross, Martin Briggs, il Gregorovius), i quali avevano sentito parlare del 'bianco Duca' e desideravano conoscere il dimenticato patriota martire.
Il dotto viaggiatore francese Paul Bourget così annotò dopo l'amichevole incontro: «…ebbi l'apparizione del vecchio signore a ottant'anni, vestito di nero, smilzo, di statura ancor dritta e gigantesca non ostante gli acciacchi e le infermità patite.
Sigismondo Castromediano (dipinto di G. Lenti, 1893 - proprietà della sig.ra Costanza Gorgoni Ciccarese) |
«Egli trascina le sue povere gambe malate, e sotto una capigliatura ammirabile per candore e foltezza, mostra una faccia rasa… L'espressione di quel viso, nobile e amara, altiera e malinconica, rivela che un troppo rude destino ha pesato su quell'essere…».
Diligente occupazione del duca, sollecitata da un assiduo desiderio, era correggere il testo delle sue Memorie, depennare espressioni incerte e inserire aggiunte appropriate, migliorare il proprio stile peculiare impreziosendolo con espressioni dotte, insomma condurre a perfezione il contenuto e la forma della sua trentennale fatica letteraria.
Un giorno Gustava A. de Stein, moglie del cav. Rebecchini, in confidenza fu informata dal dott. Cosimo De Giorgi delle ristrettezze ecomiche in cui viveva l'amico Sigismondo; allora la gentile signora scrisse a questi una lettera (ottobre 1883) nella quale dichiarava di essere risentita verso la Patria ingrata, colpevole di aver trascurato il patriota che tutto se stesso aveva dato all'Italia.
E il duca Castromediano, per chiarire la situazione, così lealmente le rispose: «Il governo non mi offrì solo pensione, ma posti riguardevoli. I secondi non accettai per non sentirne bisogno e per trovarmi incapace a sostenerli, la prima per non aver avuto l'animo d'essere di peso allo stato/raquo;.
In una lettera spedita all'amico Nicola Nisco, Caballino 30 dicembre 1885, il duca Castromediano si duole: «Le nostre Memorie, che ho intitolate Carceri e galere son già compiute, sarebbero pronti a consegnarsi alla stampa, ma… v'è un ma crudele: io non ho mezzi da stamparle, anzi ho bisogno di cederle per prezzo a qualcuno, cioè ricavandone un che di pro dalle mie fatiche, dalle sole mie fatiche… Con ciò che ne ricaverei aggiusterei un qualche mio bisogno. Mio caro fratello, io non posseggo altro che quel che possedeva prima delle mie persecuzioni, una falda meschina cioè della grande fortuna di mia famiglia»4.
Ed ancora, in un cenno autobiografico così scrisse di sé: «…lo scrittore di queste memorie, …vive ora modestissimamente fra le memorie del passato, e, potrebbe aggiungere, anche fra i bisogni del presente, e non se ne lamenta»5.
«Ora quattro giovani, cari e volenterosi, son venuti a trovarmi nel letto ove giaccio, e mi hanno proposto di pubblicare le mie Memorie… Essi sono: il dottore Gaetano Fiore, …l'avvocato Giuseppe Pellegrino e i due professori Brizio De Sanctis e Giuseppe Doria»6.
Finalmente l'opera letteraria Carceri e galere politiche - Memorie del duca Sigismondo Castromediano venne stampata in due volumi e pubblicata, dalla R. Tipografia Editrice Salentina - Lecce -1895.
Sentendo prossima la fine, il venerando patriota Sigismondo Castromediano, riconoscente per la cortese ospitalità e la garbata assistenza per tanti anni ricevute, concesse il suo nominale titolo di marchese al benevolo nipote Eduardo Casetti (1844+1906) figlio di sua sorella Costanza; e trasmise l'altro titolo similmente generico e nominale di duca all'altro nipote Sigismondo (1852+1916) figlio di suo fratello Chiliano7.
Nel 1891, infine, chiese e ottenne in concessione dal Comune - Sindaco Francesco Murrone detto don Ciccio - una zonetta cimiteriale, su cui fece erigere una semplice edicola funeraria.
L'anno 1895, il giorno 20 del mese di agosto, l'insigne cittadino cavallinese Sigismondo Castromediano serenamente cessò di vivere nella medesima dimora in cui ottantaquattro anni prima era venuto al mondo.
Nel Liber Mortuorum dell'Archivio parrocchiale di Cavallino fu registrato:
In Municipio l'atto di morte di Sigismondo così fu compilato:
Sigismondo Castromediano (Cavallino, busto bronzeo di S. Maggiore, 1952 foto di P. Garrisi) |
Permettetemi di leggere, in fine, una pagina del mio libro Suntu… fatti nesci (Capone Editore - 1992), un brano in dialetto leccese, la lingua che il Duca parlava volentieri e familiarmente quando il pomeriggio nella spezerìa di don Cìccio Murrone si incontrava con gli amici compaesani.
«…e passàu lu restu te l'anni soi tra lli rrecuerdi te la longa vita soa, spisa pe lla libbertà e pe ll'unità d'Italia. Le Memorie, a nfine, fôra unite a llibbru ntitulatu Carceri e galere politiche; e siccomu aìa dentatu quasi tuttu cecu, iδδu dettàa e le neputi Custanza e Livia screìanu; e quarche fiata se facìa iutare puru te lu Peppinu De Duminicis, nnu carusu fìgghiu te cuntatini, ma mutu struitu percé ìa sçiutu alle scole te Lecce.
Sicismondu Castrumetianu, dopu tante sufferenze e patimienti, lu 1895 alli 26 te acostu, pròpiu te la festa te Santu Ronzu, murìu alla bella ità de 84 anni, e foi precatu ntra lla tomba te famìglia allu campusantu te Caδδinu.
Puru moi cinca ae allu cimiteru e se cùcchia cu llegga la làpite, nci ite scrittu:
Li steli spinosi te nna rosa ncora moi se rràmpecanu fena alla làpite: la rosa a llu Duca nèsciu nni la chiantàu mèsciu Arturu zueppu, lu rremitu te lu Campusantu.»
Giungo alla conclusione.
Dal racconto degli eventi storici e dei fatti personali, vissuti, compiuti e subiti dal nostro illustre concittadino, ritengo che possa essere espresso questo vero giudizio:
Cavallino, monumento a Sigismondo Castromediano, di M. Mariucci, 2005 (foto di P. Garrisi) |
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