Home Page | Inizio della pubblicazione | |
Il dialetto leccese | ||
Capitolo precedente: | Capitolo decimo | Capitolo successivo: |
Primi documenti scritti leccesi | Il dialetto leccese si stabilizza | Canti di corteggiamento e di speranza |
La parlata leccese continuò ad evolversi per conto proprio, secondo le precipue tendenze naturali della gente, e i padri la trasmettevano naturalmente sempre più arricchita ai figli.
E i popolani leccesi, sia del ceto urbano e sia del ceto rurale, comunicavano tra loro usando l'idioma locale; discorrevano e litigavano adoperando il vernacolo; parlavano insomma il dialetto leccese il quale era il linguaggio natìo, la parlata dei bottegai, degli artigiani, dei contagini, delle massaie.
Anche i pochi uomini di cultura e gli istruiti (notai, medici, speziali, avvocati, preti e monaci), i quali nell'esercizio delle loro funzioni pubbliche usavano la lingua nazionale, codificata nel genere e limitata nel lessico professionale, nella vita privata in famiglia e tra amici, usavano abitualmente e disinvoltamente il dialetto, perché lo sentivano più spontaneo, più fresco, più efficace nell'esprimere i propri pensieri, nel manifestare gli intimi moti dello spirito.
Con il passare del tempo, il dialetto leccese andò man mano stabilizzando il suo carattere e il suo stile, andò determinando le sue variazioni e le sue scelte linguistiche, andò fissando e uniformando la propria pronunzia, il proprio vocabolario, la propria grammatica soprattutto nell'ambito del contado cittadino ed entro i confini delle terre e dei casali e dei borghi su cui Lecce città-capoluogo faceva sentire più direttamente e marcatamente la propria influenza politico-amministrativa.
Alla fine (molto probabilmente dalla metà del '600) l'idioma leccese si presentò con le proprie caratteristiche lessicali e glottologiche, con le proprie peculiarità fonetiche, morfologiche, grammaticali e sintattiche.
Ce lo documentano:
- l'opera teatrale di autore anonimo Rassa a bute, dramma in lingua leccese, un componimento in versi del sec. XVII, scritto di proposito in dialetto leccese, nel quale vengono presi di mira gli amministratori comunali incapaci e corrotti;
- Viaggio de Leuche a lengua de Lecce compostu dallu mommu de Salice ed ultimamente dallu medesemu rinautu mpiersu lu scegnu de casaleneo, e deddicatu allu marchese D'Oria D. Michele Imperiale. Divisu 'n tre canti. Il poemetto fu composto da G. Marciano, morto nel 1714;
- piace riportare per intero le due quartine scritte a punta di pennello nel 1743 alla base del grande dipinto raffigurante S. Oronzo dell'altare posto (alla destra di chi entra) nella basilica di Santa Croce in Lecce; le strofe informano che
- 16 sonetti leccesi raccolti nel manoscritto di Londra (prima metà del secolo XVIII);
- La Juneide , osia Lecce trasfurmatu, culle laudi de lu Juni, puema eroeco dedecatu alli signori curiosi; di autore ignoto, fu scritto non prima del 1768; il poemetto prende il titolo da lu Juni, soprannome di Giuseppe Romano il quale fu sindaco di Lecce nel biennio 1768 - 69;
- poesie delle Accademie oriatane (1781-83).
Ma a questo punto siamo arrivati al sorgere della vera e propria letteratura dialettale leccese, la quale viene nobilitata dalle Puesei a lingua leccese de lu Frangiscantoni D'Amelio de Lecce (1775 - 1861), dedecate a Soa Ccellenza D. Carlo Ungaro de Montejasi; e principalmente dalla vasta opera poetica del cavallinese Giuseppe De Dominicis, il Capitano Black, (1869 - 1905), il più valido e meritatamente illustre poeta dialettale salentino.
È vero, l'idioma toscano-fiorentino, anch'esso derivato dalla lingua madre comune, il latino volgare, da qualche secolo aveva trionfato pur con grande difficoltà, sopra tutti gli altri cento dialetti provinciali italiani, era divenuto lingua nazionale e faceva sentire sicuramente la sua influenza, anche sulle parlate salentine; ma è pure certo che il dialetto leccese in particolare conservò ben marcato - come abbiamo osservato - nel vocabolario e nella struttura la memoria del latino. Ricordi remoti…, ma più immediati di quanto abbiano mantenuto gli altri dialetti italiani. Un idioma - concludiamo - il nostro, che si mantiene tuttora vivo nell'uso quotidiano (nel privato e tra tutti i ceti sociali schiettamente leccesi), e che conserva anche la propria tradizione culturale e storica.
Da questa constatazione discende la consapevolezza che sono validi i motivi per cui dappertutto nel Salento c'è un risorgere di studi dialettali: si pubblicano raccolte di canti popolari e componimenti poetici in vernacolo (ma chissà quante altre raccolte di poesie rimangono chiuse nei cassetti degli autori!); si istituiscono premi letterari per racconti e poesie dialettali; inoltre, vengono incrementate le genuine sagre popolari e le tradizioni folcloristiche; valide compagnie di attori presentano nei teatri lodevoli commedie dialettali; si organizzano ricostruzioni storiche e si approntano musei di civiltà contadina; si pubblicano numeri unici periodici. Tutte documentazioni importanti di una cultura che, se pure ristretta nello spazio, prolunga le sue origini lontano, molto lontano nel tempo; perciò tale cultura è interessante e degna; perciò è bene che la sua memoria non vada perduta.
Home Page | Inizio della pubblicazione | |
Il dialetto leccese | ||
Capitolo precedente: | Capitolo decimo | Capitolo successivo: |
Primi documenti scritti leccesi | Il dialetto leccese si stabilizza | Canti di corteggiamento e di speranza |