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I Castromediano
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Fabio e Ottavio Castromediano, due eroici cavallinesi Sigismondo II (1542-1615),
14o barone
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I CASTROMEDIANO

Sigismondo II (1542-1615), 14o barone

Morto nel 1571 il barone don Giovanni Antonio II, ereditò i diritti, le prerogative e i titoli feudali il figlio Sigismondo II Castromediano. L'anno 1568 egli aveva sposato donna Sidonia de' Monti, la quale gli diede i figli Ascanio il successore, Giov. Antonio, Marcello, Giov. Battista, e le figlie Antonia che andrà sposa a Prospero Bozzicorso e Lavinia che sarà sposa di Geronimo d'Azzia.

I primi anni di matrimonio il novello sposo non li trascorse in famiglia, ma dovette prestare il prescritto servizio militare agli ordini del viceré a difesa del Salento.

Nelle operazioni di sorveglianza delle zone costiere il cavaliere Sigismondo Castromediano si distinse e per capacità tattica e per prontezza d'intervento. Egli con uno squadrone di cavalleggeri, pattugliando e perlustrando il litorale adriatico da Brindisi a Leuca e quello ionico da Leuca a Taranto, riuscì ad impedire ben cinque tentativi di sbarco a Torre S. Gennaro, a Roca, a Gagliano del Capo, a Torre Lapillo, a Maruggio, e a stornare ogni intento di razzia contro i villaggi rivieraschi e le masserie isolate.

Sigismondo figliuolo del d. Gio: Antonio fù anch'egli Capitan di cavalli, provisto dal Cardinal Granvela nel 1575. Questi in suo tempo conservò illese tutte queste nostre marine da' Corsali, e si ritrovò in molte fattioni militari con gran pericolo di sua vita.1

Adempiuto agli obblighi militari e tornato in congedo a Cavallino, il barone don Sigismondo II poté dedicarsi con maggiore puntualità alle faccende di famiglia e agli affari del feudo. Ai massai e agli agricoltori affittuari furono imposti contratti agrari ancor più gravosi; oltre il pagamento dell'annuo censo, fu stabilito l'obbligo di consegnare al signor barone la metà dei raccolti: non solo dell'uva e delle olive, ma anche dei cereali e dei legumi; inoltre dare tre panieri colmi columbrorum (di fioroni) e una cesta ficarum siccatarum (di fichi secchi); ciascun ortolano o giardiniere doveva consegnare in natura presso il magazzino padronale tre corbelli fabarum et pastinacarum, cucumerorum et citralorum (di fave e di pastinache, di cocomeri e di cetrioli).

I coloni, invece, erano tenuti a omaggiare la famiglia del signor padrone donando, a Natale, dieci uova, due capponi o un tacchino, una forma di cacio pecorino fresco e un vasetto di miele; a Pasqua, un agnello o un capretto, dieci uova, cinque candele lunghe un braccio e una forma di cacio stagionato. Da parte di ciascuna famiglia residente nel feudo era gradita la regalia di una gallina vecchia (che fa buon brodo) ogni qualvolta la signora baronessa partoriva.

I vassalli temevano assai l'imposizione della taglia, cioè la consegna da parte di ogni famiglia residente nel casale di una determinata quantità di lana di pecora e cotone in fiocchi, di tele e panni tessuti in casa, in occasione di matrimonio o di monacazione delle figlie del barone.

Furono aumentate, infine, da cinque a sette le giornate che ogni anno i cavapietre e i muratori, i mastri carpentieri e fabbri ferrai con i rispettivi manovali dovevano dedicare gratuitamente alla manutenzione delle strade interne del casale, alla costruzione di opere di pubblica utilità e al restauro della dimora baronale e dei luoghi sacri.

Un atto di generosità il barone lo compì: esentò i preti e i rispettivi nuclei familiari dal dazio sul pane e sul vino, sulla molitura del grano e dell'orzo.

Allora i sacerdoti cavallinesi (7 su circa 700 residenti), tutti figli di vassalli, che erano generalmente ossequiosi verso i signori baroni, all'occorrenza intervenivano effettivamente per persuadere il malcontento ceto subalterno a servire con rassegnazione i padroni terreni "nella certezza di ricevere in cambio, dopo morte, l'adeguata ricompensa in paradiso".

Don Sigismondo II proseguì i lavori di ristrutturazione del palazzo e alla facciata del lato sud-ovest, quello che prospetta verso l'isolata e discosta chiesa matrice, addossò ad entrambe le ali due corpi di fabbrica sporgenti in avanti (le alette), dando così più importanza prospettica ed estetica a quello che ora è diventato il lato principale del vasto edificio feudale.

Palazzo dei Castromediano
CAVALLINO - Palazzo dei Castromediano
(disegno dal vero di C. De Giorgi, 1882)

L'anno 1581 Sigismondo II acquistò per 9.300 carlini d'argento dal dottore G. Antonio Pandolfo di Lecce la contrada di Ussano, distesa tra le terre di Cavallino, i prati di S. Donato e i pascoli di Galugnano. Inoltre acquistò altri terreni allodiali vicini al litorale di S. Cataldo, aggiungendo ai beni posseduti in proprietà dalla famiglia altri beni liberi di ogni altrui diritto. Poi, inaspettatamente, il 23 agosto 1583 vendette (non se ne conosce la ragione) le terre infeudate di Cavallino a don Antonio Maremonti per 1.000 ducati d'oro; a settembre però la vendita fu annullata e dichiarata inefficace per mancato versamento dell'intero importo pattuito, e don Sigismondo II trattenne la caparra; il 5 ottobre dello stesso anno, alienò il feudo - con patto di ricompera - a don Pietro Maresgallo di Lecce.


1G.C. INFANTINO, Lecce Sacra, Lecce 1634, pag. 253


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