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Gaetano (1745-1798), 8o marchese e 7o duca |
Liberali progressisti e reazionari conservatori |
Domenico II Castromediano (1781-1852) |
I CASTROMEDIANO
Liberali progressisti e reazionari conservatori
Prima di proseguire la narrazione delle vicissitudini familiari di Casa Castromediano, si rende opportuno accennare ai contemporanei avvenimenti politici del Regno di Napoli e ciò per connettere puntualmente nell'intrigato contesto nazionale le vicende personali degli ultimi protagonisti Signori Castromediano.
Ancora erano in fase di propagazione gli effetti ideologici della recente Rivoluzione francese; tuttora erano in corso i rivolgimenti militari e politici provocati dal generale Napoleone Bonaparte nella penisola italiana. Con l'intervento delle truppe francesi, infatti, i liberali settentrionali nel 1796 crearono la Repubblica Cispadana e nel 1797 la Repubblica Cisalpina; nel febbraio del 1798 truppe francesi tolsero al papa Pio VI lo Stato Pontificio e diedero vita alla Repubblica Romana; però, nel settembre dello stesso anno, il re di Napoli Ferdinando IV di Borbone mosse in aiuto del papa, sconfisse i repubblicani, occupò Roma e la restituì alla Santa Sede; ma pronto intervenne il generale francese Championnet, il quale prima riconquistò lo Stato della Chiesa e poi, proseguendo la marcia vittoriosa, invase il Regno di Napoli, e il 22 gennaio 1799 proclamò la Repubblica Partenopea o Napoletana.
Soltanto l'8 febbraio giunsero a Lecce le notizie della fuga del re Ferdinando IV e della creazione della "Repubblica dell'eguaglianza e della libertà", e allora i repubblicani giacobini leccesi tolsero gli stemmi borbonici e issarono le bandiere francesi. La domenica successiva i riformatori salentini (liberali, repubblicani, galantuomini e nobiluomini illuminati), convenuti in gran numero a Lecce, si recarono in corteo nel Duomo a cantare il Te Deum, quindi tornarono nella piazza di S. Oronzo e piantarono "l'albero della libertà".
Questi eventi coinvolsero anche i giovani fratelli Castromediano di Cavallino: Domenico II, il titolare della casata, si tenne in disparte, circospetto e prudente, in attesa degli esiti finali, comunque contrario al movimento liberale, avverso ai giacobini che propugnavano la libertà politica e l'eguaglianza sociale; mentre i suoi fratelli Kiliano e Giov. Battista si manifestarono favorevoli ai liberali progressisti, e ogni volta correvano a Lecce e si univano ai manifestanti per gridare "Abbasso il Borbone! Viva la libertà!"
Tuttavia, tali manifestazioni non piacquero alle autorità religiose e ai baroni feudatari leccesi, rimasti gli uni e gli altri interessatamente conservatori e fedeli borbonici, e i canonici della cattedrale sparsero la voce che la statua del protettore S. Oronzo sull'alta colonna avesse mosso un piede minacciando di scendere e andarsene da Lecce; nei giorni successivi, i popolani della città e dei casali, sobillati dai preti e dai monaci, scesero per le strade e al grido di "Viva la Santa Fede! Viva Ferdinando!" si schierarono con la reazione borbonica antiliberale che, suscitata dal cardinale Ruffo, via via dalla Calabria si spandeva per tutto lo Stato napoletano.
Il 13 giugno 1799 i Sanfedisti del cardinale Ruffo sconfissero i liberali repubblicani napoletani, ripresero Napoli e permisero al re Ferdinando IV di Borbone di riappropriarsi del regno. Questi tornò a sedere sul trono, animato da propositi di vendetta, e riaccese una feroce reazione antiliberale in tutto il regno, e dappertutto seguirono terribili persecuzioni di patrioti liberali.
Tra tanti altri, i leccesi Oronzo Massa, da giovane capitano nell'esercito di re Ferdinando, e Ignazio Falconieri, prete teologo, vennero tratti in arresto e trascinati a Napoli davanti alla Giunta di Stato, furono inquisiti di giacobinismo per essersi battuti in difesa della Repubblica partenopea, e finirono condannati a morte mediante impiccagione.
Nelle medesime circostanze, assai meno atroce fu la sorte dell'avvocato Giuseppe De Rinaldis (1760-1830 circa) di Cavallino, anch'egli di tendenze liberali, il quale fu arrestato dagli sgherri borbonici, fu processato, condannato e recluso nella dura galera di Forte a mare a Brindisi1.
Per pochi anni, però, re Ferdinando IV rimase sul trono a governare malamente. Difatti, il 1806 Napoleone Bonaparte, ora Imperatore dei Francesi, riconquistata l'intera penisola italiana, diede il Regno di Napoli a suo fratello Giuseppe, mentre re Ferdinando IV di Borbone nuovamente fu costretto a scappare rifugiandosi in Sicilia.
Allora il prigioniero cavallinese Giuseppe De Rinaldis tornò in libertà e in seguito, sia per meriti politici e sia per capacità professionali ottenne dal re di Napoli la carica di Presidente del Tribunale civile provinciale di Lecce.
Due anni dopo, precisamente nel mese di giugno dell'anno 1808, Napoleone, padrone di tutta l'Europa continentale, trasferì suo fratello re Giuseppe Bonaparte sul trono più prestigioso di Spagna e assegnò il Regno di Napoli a suo cognato Gioacchino Murat.
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