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Domenico II Castromediano (1781-1852) | 3o prospetto genealogico degli ultimi Castromediano |
I CASTROMEDIANO
Domenico II Castromediano (1781-1852), ultimo marchese di Cavallino e ultimo duca di Morciano
Durante la breve permanenza a Napoli, il re Giuseppe Bonaparte ebbe premura, nel 1806, di emanare l'editto, importantissimo!, che aboliva nel regno il secolare sistema feudale; con tale decreto riformatore furono annullati i poteri, le prerogative e i privilegi della nobiltà feudataria, sicché i casali e le terre vennero affrancati e i residenti comunque e a chiunque infeudati tornarono uomini liberi, non più vassalli ma cittadini.
L'eversione della feudalità sancì anche l'abolizione degli Ordini monastici. Pertanto i Padri Domenicani di Cavallino qualche tempo dopo dovettero abbandonare il loro convento, che divenne proprietà demaniale; l'anno 1813 il re Gioacchino Murat benignamente concesse l'ex convento in proprietà del Comune.
Non tutti i vassalli esultarono per la fine del sistema feudale. Gli artieri, i massai, gli agricoltori affittuari, quelli insomma dotati di spirito d'indipendenza e di iniziativa imprenditoriale, si rallegrarono nella libertà riacquistata; gli altri invece, i coloni, i braccianti, i servitori, che non si sentivano sicuri senza un padrone, si rammaricarono per la fine dei feudatari, rimasero turbati per lo sconvolgimento della situazione generale e si preoccuparono per la propria sorte e per il futuro della propria famiglia.
Bisogna considerare, però, che la legge sull'eversione della feudalità comportò anche la tutela degli interessi delle famiglie feudatarie, nel senso che a ciascuna casata furono riconosciuti gli acquisiti diritti di proprietà e sulle terre allodiali e sulle terre feudali; pertanto, solamente il capo famiglia titolare del feudo rimase irreparabilmente danneggiato dalla riforma politica, che comprendeva l'annullamento anche del sistema di successione ereditaria peculiare del maggiorasco.
Il feudatario don Domenico II Castromediano poté esercitare la legittima potestà politica nei suoi possedimenti feudali e goderne i vantaggi del maggiorascato soltanto per otto anni, dal 1798 al 1806, fino a quando, cioè, non fu abolita la feudalità. Pertanto Domenico II Castromediano de Limburg fu l'ultimo marchese di Cavallino e l'ultimo duca di Morciano, fu ricondotto al rango di comune cittadino, uguale nei diritti e nei doveri agli altri regnicoli napoletani, e - cosa oltremodo umiliante per un ex signore feudatario - pari ai suoi ex vassalli ora divenuti liberi civili cittadini.
Privato del beneficio del maggiorasco, Domenico II si trovò ad essere non più padrone esclusivo e usufruttuario unico dell'intero patrimonio della casata Castromediano, ma soltanto consorte compartecipe del complesso dei beni di famiglia, insieme con i suoi fratelli e sorelle viventi: Kiliano, Giov. Battista, Beatrice, Gaetana, Isabella, Irene, Rosa.
In effetti, l'abolizione del maggiorascato determinò gran danno solamente al primogenito Domenico II mentre ne venne gran profitto ai suoi fratelli e sorelle coeredi. L'ex capo della casata in più poté mantenere i titoli di duca e di marchese ma soltanto come appellativi di rispetto, privati ora di qualsiasi valore ufficiale e di qualsiasi pubblica efficacia, senza più alcun effetto giuridico e alcun privilegio sociale.
Il fratello Kiliano Castromediano (1782-1807), di sentimenti liberali, lasciato il collegio dell'Ordine gerosolimitano dove era Cavaliere professo, si arruolò volontario nell'esercito del re Giuseppe Bonaparte e con il grado di 1° Ufficiale del 1° Reggimento partecipò alla lotta armata contro i partigiani (comunemente detti "briganti") rimasti fedeli al re Ferdinando IV di Borbone, il quale da Palermo alimentava la resistenza antifrancese.
Nel dicembre del 1806 il tenente Kiliano Castromediano si scontrò con Domenico de Donato, capo di un gruppo di miliziani borbonici, e dopo un fiero combattimento corpo a corpo lo uccise. Nel luglio dell'anno successivo fu il plotone del tenente Castromediano a cadere in un'imboscata tesa dai partigiani borbonici; seguì un'aspra mischia, i soldati regi si sbandarono e si diedero alla fuga, e Kiliano rimase ucciso sul campo. Il suo corpo fu fatto a pezzi e le braccia e le gambe, il busto e la testa vennero appesi ai rami di un albero e abbandonati in pasto ai falchi e ai corvi rapaci. Sua moglie Teresa Sambiasi (1786-1856) rimase vedova senza figli.
Nell'esercito del nuovo re di Napoli Gioacchino Murat prestò servizio anche il fratello minore del povero Kiliano, Giov. Battista (1783-1860); anch'egli fu impegnato nella lotta contro le bande dei briganti filoborbonici, in Calabria, e si comportò con astuzia e coraggio; successivamente il tenente Giov. Battista Castromediano venne assegnato al plotone speciale del generale francese Radet e, la notte del 5 luglio 1809, a Roma partecipò alla cattura del papa Pio VII e per premio fu promosso capitano.
Ultimato il servizio militare, Giov. Battista tornò a Cavallino, sposò L. Anna Allegro, una bella giovane leccese, e prese dimora in un appartamento del palazzo.
Nel medesimo palazzo abitava pure il primogenito Domenico II Castromediano il quale, sebbene legalmente esautorato, continuava ad amministrare fiduciariamente il grosso patrimonio dei Castromediano, in attesa della divisione dei diversi beni della casata tra gli otto legittimi eredi.
Di fatto, le sorelle Castromediano ancora minorenni erano sotto tutela del fratello primogenito (si ricordi che il padre don Gaetano era morto nel 1798 e la madre donna Anna Vernazza le aveva abbandonate).
Ebbene, proprio perché ricche ereditiere le cinque giovanette presto furono ravvisate dai cacciatori di dote, sollecitamente cominciarono ad essere corteggiate da vari pretendenti e, di poi, una dopo l'altra andarono spose a mariti forestieri.
Beatrice (1786-1862) si unì in matrimonio, nel 1805, con il capitano dei cisalpini Antonio Casetti da Pisa, dal quale ebbe un solo figlio, Gaetano; nel 1827 rimase vedova del marito, caduto nella battaglia di Navarino in Grecia.
Gaetana (1791-1847) andò sposa a Domenico Personé.
Isabella (1793-1864) si maritò con il francese J. Louis Laigneau de Chartres, tenente nell'esercito di Napoleone, poi capitano delle Guardie di Gioacchino Murat re di Napoli. I due coniugi si stabilirono a Cavallino, in un'ala del palazzo, ed ebbero due figli, Luigi e Zaira.
Irene (1795-1886) si sposò con il francese Joseph Testù de Lion, sottotenente nell'esercito di Napoleone, poi tenente nelle forze armate di re Giuseppe Bonaparte e poi capitano nella truppa di re Gioacchino.
Rosa (1796-1859) andò sposa al leccese Gaetano Libertini.
A maggio dell'anno 1815 il re Gioacchino Murat fu sconfitto dalle truppe austriache alleate alle forze di resistenza borboniche, a ottobre fu catturato, processato e fucilato; pertanto Ferdinando di Borbone, ancora una volta, poté tornare a sedere sul trono non più come Ferdinando IV re di Napoli ma come Ferdinando I re delle Due Sicilie.
I baroni esautorati dai re francesi spesso si recavano nella capitale e facevano pressioni a Corte nella speranza di essere reintegrati negli antichi poteri feudali; e pure Domenico Castromediano cominciò a trattenersi a lungo a Napoli nel tentativo di perorare la sua causa familiare.
Re Ferdinando, però, ritenne più proficuo per la sua dinastia mantenere in vigore i moderni ordinamenti sociali. A passi lentissimi, tale politica di progresso civile nel regno non si interruppe nemmeno con i successori Francesco I (re dal 1825 al 1830) e Ferdinando II (re dal 1830 al 1859).
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