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I Castromediano | ||
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3o prospetto genealogico degli ultimi Castromediano |
La stirpe dei Castromediano si estingue | Gli stemmi |
I CASTROMEDIANO
La stirpe dei Castromediano si estingue
L'anno 1809, Domenico Castromediano, ventottenne, sposò Anna Teresa Balsamo (1793-1845) dalla quale nacquero, a Cavallino nel palazzo di famiglia, tredici figli: questi saranno gli epigoni della stirpe dei Castromediano de Limburg, nel senso che, morendo essi maschi senza lasciare prole maschile, l'antica casata avrà la sua naturale fine.
Gaetana (1810-45) morì nubile a Lecce, in casa della madre;
Giulietta I (1810-19) morì fanciulla, educanda nel monastero di S. Chiara in Lecce;
Sigismondo III (1811-95) patriota del risorgimento, per undici anni prigioniero politico nelle carceri borboniche, morì celibe a Cavallino;
Chiliano (1813-64) prese in moglie Carolina de Meo, tarantina, dalla quale ebbe il figlio Sigismondo IV (morto celibe il 1916) e le figlie Teresa e Beatrice;
Costanza (1815-71) andò sposa al cugino Gaetano Casetti di Cavallino;
Ascanio (1817-55) morì celibe a Napoli, in casa del padre;
Giovan Battista (1818-40) morì celibe a Lecce, in casa della madre;
Giulietta II (1820-21);
Adelaide (1821-75) sposò Valentino Valentini di Morciano;
Giulietta III (1822-72) morì nubile a Lecce, ospitata nel Conservatorio di S. Anna;
Luisa (1825-52) morì nubile nel Conservatorio di S. Anna;
Enrico (1826-94) tredicenne seguì il padre a Napoli, il 1854 tornò a Morciano di Leuca e sposò Francesca Ponzetta dalla quale non ebbe figli;
Teresina ( … ), ospitata nel Conservatorio di S. Anna, sovvenuta al pari di Giulietta e di Luisa dal fratello Sigismondo.
Si evidenzia che i primi cinque figli nacquero nel corso del breve regno di Gioacchino Murat.
Nel regno, anche a causa dei frequenti rivolgimenti politici e mutamenti istituzionali, la riforma del diritto ereditario negli ex domini feudali si rivelò particolarmente complicata, e le norme di applicazione della legge richiesero graduali modi e lunghi tempi di attuazione; ciò a causa della differente natura dei beni immobili a seconda che erano demaniali o allodiali o burgensatici…
Comunque tutti i tentativi compiuti da Domenico II Castromediano e i coeredi di dividersi bonariamente il vasto patrimonio familiare, costituito di diversi beni mobili e immobili sparsi in vari luoghi vicini e lontani, non ebbero alcun esito positivo; anzi ogni riunione di famiglia, cui partecipavano anche i cognati, si protraeva in discussioni scomposte e in aspri diverbi che ancor più esacerbavano gli animi e acuivano i rancori reciproci.
E i compaesani cavallinesi e gli amici e i conoscenti leccesi seguivano interessati le vicende e commentavano sarcastici e quasi divertiti le interminabili diatribe.
Infine, gli eredi Castromediano raggiunsero il definitivo concordato di spartizione dei beni patrimoniali dopo trenta e più anni di discussioni e litigi, con incarichi ad agronomi e a geometri, con ricorsi a notai, ad avvocati e a tribunali.
Il complesso ereditario di Cavallino fu diviso in cinque parti, quello di Morciano in tre; ciascuna quota comprendeva sia fabbricati e sia terreni di equivalente valutazione. I fratelli Domenico e Giovan Battista e la cognata Teresa vedova di Kiliano ebbero le proprietà nel tenimento di Morciano di Leuca; le cinque sorelle si presero i possessi sparsi nel territorio di Cavallino. Ma presto ognuno degli eredi fu costretto ad alienare a vari creditori consistenti porzioni della rispettiva quota ottenuta, per cancellare le gravose ipoteche, per estinguere i tanti debiti, per saldare le spese correnti.
Proprio tutti gli eredi furono costretti a vendere le proprietà terriere. E, approfittando delle favorevoli occasioni, per esempio, massaro Raffaele Totaro Fila di Cavallino comprò "Sant'Alieni" la masseria che egli conduceva a mezzadria; massaro Pasquale Garrisi cavallinese comprò la masseria de "lu Monte" in contrada Capistri; il canonico leccese Danese acquistò la masseria "Donna Rosa"; le famiglie leccesi dei Vadacca e dei Verardi comprarono le masserie che dal loro cognome poi si dissero "Alacca" ed "Erardi". E i cavallinesi Calò, Ciccarese, De Luca, De Matteis, Forcignanò, Giannone, Gigante, Ingrosso, Longo, Marchiello, Monittola, Murrone, Passabì, Totaro Aprile, Zilli, agricoltori operosi, comprarono i terreni che da anni coltivavano, da affittuari o mezzadri divenendo padroni; e i mastri artigiani acquistarono le botteghe in cui vivevano e lavoravano; persino i pecorai e i caprai acquistarono le greggi padronali che essi stessi governavano. Inoltre, calarono i ricchi borghesi leccesi, i Bernardini, i De Raho, i Pedio, i Longordo, i Cicala, i Rizzo, i Totaro, i Vernaleone, i Verola e acquistarono a prezzi vantaggiosi i vigneti, gli oliveti, le tenute agrarie più fertili e redditizie.
Chiliano Castromediano, che fu interessato osservatore delle suddette vicissitudini e partecipe testimone della rovina della sua schiatta, in una MEMORIA così scrisse di suo padre Domenico, l'ultimo feudatario: La legge dell'abolizione feudale fu promulgata nei suoi primi anni, ond'è che le sostanze vistose di sua Famiglia da prima decaddero, quindi tutte si distrussero, imperò serbando il decoro avito, quando anche le rendite si erano assottigliate, e per la generosità e prodigalità del suo cuore, e per le liti civili sostenute con le sue sorelle e cognati (liti già rese proverbiali) i quali fino il Castello dei suoi antenati in Cavallino gli tolsero, tanto sfortunio gli avvenne.
Gli eredi cognati Casetti, Personè, Laigneau, Testù e Libertini (v. 3o prospetto genealogico) occuparono gli appartamenti abitabili dell'antico edificio feudale di Cavallino, e i creditori leccesi Panico, Prato, Guarini presero possesso di vari locali deposito, rimesse, magazzini e cantine1.
Il palazzo ducale di Morciano fu rilevato per intero dalla famiglia morcianese Valentini, il cui figlio don Valentino aveva in moglie la cavallinese donna Adelaide Castromediano, figlia di don Domenico II.
Don Domenico Castromediano, già mortificato dalla sorte avversa e provato da tante contrarietà, abbandonò Cavallino, si staccò dalla famiglia e si trasferì a Napoli, la capitale, portando con sé i figlioli Ascanio ed Errico. La moglie donna Teresa Balsamo, insieme con i figli maggiorenni Gaetana e Giovan Battista, entrambi di salute cagionevole, trovò ospitalità presso i suoi parenti, nel palazzo Balsamo, a Lecce; il figlio poi morirà il 1840, la figlia il 1845, e due mesi dopo anche la madre cesserà di vivere tra le afflizioni.
Le tre figliole minorenni Giulia, Teresina e Luisa furono allogate nel Real Conservatorio S. Anna di Lecce, quasi povere orfanelle, sovvenute dal fratello Sigismondo.
Sigismondo, il maggiore dei figli di don Domenico e di donna A. Teresa, non lasciò Cavallino, il paese natio; prese in locazione dal Comune l'edificio ormai sgombero del Convento dei padri Domenicani e al piano superiore approntò per sé un appartamentino, dando le altre camerette in subaffitto ai compaesani più poveri2.
In un altro quartierino dell'ex convento dimorò pure il fratello Chiliano, insieme con la moglie Carolina de Meo e i tre figlioletti Sigismondo, Teresa e Beatrice. Egli fu uomo scioperato, spesso postulante di sovvenzioni dal fratello Sigismondo che, in assenza del padre, era il curatore dei beni di famiglia tuttora indivisi. Chiliano nella vita pubblica cavallinese più volte si propose come candidato aspirante all'incarico di Esattore comunale, ma, non godendo di alcuna stima e fiducia, mai fu scelto; concorse pure alla carica di Sindaco, ma senza esito. Morì il 1864 e fu seppellito nella chiesa dell'ex convento nella tomba gentilizia.
Con l'Unità d'Italia (1860), dopo undici anni di prigionia per motivi politici, il patriota Sigismondo Castromediano fece ritorno al paese natio. Il 1861 egli si presentò candidato nel collegio di Campi Salentina e risultò eletto deputato al 1° Parlamento Italiano di Torino. Scaduto dopo cinque anni il mandato parlamentare, egli si ritirò a Cavallino; ma non possedendo una casa propria dove abitare, fu accolto in famiglia dal nipote Eduardo Casetti, figlio di sua sorella Costanza Castromediano, e fu alloggiato nel palazzo degli avi; qui visse, celibe, in dignitosa povertà, dedito a studi archeologici e impegnato nella stesura delle sue Memorie - Carceri e galere politiche, e qui il 26 agosto del 1895 finì la sua vita, all'età di ottantaquattro anni, e le sue spoglie furono riposte nella edicola che egli stesso si era fatto costruire nel cimitero di Cavallino, dove ancor oggi si conservano.
Prima di morire, il vegliardo Sigismondo Castromediano in riconoscenza concesse il suo nominale titolo di marchese al benevolo nipote Eduardo Casetti. Invece, trasmise il titolo similmente convenzionale di duca all'altro nipote Sigismondo Castromediano (1852-1916), figlio di suo fratello Chiliano. Anche costui visse a Cavallino, celibe, analfabeta, romito e dimenticato; con il consenso delle cugine Costanza Casetti sposata Totaro Fila e Maria Casetti sposata Casotti, figlie di Eduardo, occupò nel palazzo Castromediano un umile locale e qui l'ultimo Sigismondo e l'ultimo Castromediano, trascorse in miseria e in solitudine gli anni di sua vita.
Nessuno degli ultimi discendenti maschi della progenie de' Castromediano lasciò eredi maschi, e così, per fine naturale, pacatamente si estinse la stirpe dei Castromediano, per circa quattro secoli signori feudatari di Cavallino.
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