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Sigismondo Castromediano
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Sigismondo tornato libero

Da tempo i governanti d'Europa andavano biasimando la durezza disumana delle prigioni borboniche. Sir W. E. Gladstone, noto uomo politico inglese, nel Parlamento britannico aveva definito il governo del Re della Due Sicilie "la negazione di Dio eretta a sistema".

E nel Congresso di Parigi del febbraio del 1856, Camillo Benso conte di Cavour, primo ministro del Regno di Sardegna, aveva giudicato e denunziato l'assolutista re Ferdinando II di Borbone come "perturbatore della pace europea".

A Napoli, mentre il Re Bomba passava in rivista le sue truppe, il soldato Agesilao Milano si avventò contro di lui con la baionetta inastata, per ucciderlo; l'attentato fallì e Agesilao venne impiccato.

Il re di Napoli, insomma, si rese conto che la sua politica assolutistica aveva portato il suo governo al discretito, all'avversione e all'isolamento di fronte all'Europa intera, ed escogitò bene di liberarsi degli scomodi prigionieri politici, che egli indiscriminatamente reputava avversari irriducibili "costituenti la setta dell'Unità d'Italia".

Dunque, il 27 dicembre 1858 fu firmato da Ferdinando II il real decreto d'amnistia e pochi giorni dopo, l'8 gennaio 1859, esso condono fu notificato a ottanta superstiti condannati politici. L'intima loro gioia per la riacquistata libertà, però, immediatamente si mutò in amaro disinganno allorché il Giudice notificatore, leggendo un allegato al decreto, spiegò che la liberazione dei politici dalla galera era subordinata al loro esilio perpetuo negli Stati Uniti d'America.

Il 14 gennaio Re Ferdinando II fu a Lecce e, di proposito, gli uomini di Corte propalarono la notizia che Domenico dell'Antoglietta di Lecce, Sigismondo Castromediano di Cavallino e Nicola Schiavoni di Manduria da S. M. il Re buono e generoso erano stati amnistiati e scarcerati, e adesso erano diretti in America in volontario esilio. I Leccesi, in verità, rimasero perplessi non comprendendo se rallegrarsi per il condono ed anche per l'esilio nell'altra parte del mondo.

I patrioti amnistiati ed esiliati che si trovavano nel bagno di Montesarchio erano: Carlo Poerio, Sigismondo Castromediano, Giuseppe Pica, Cesare Braico, Nicola Palermo, Vincenzo Dono, Stefano Mollica, Antonio Garcea; essi, liberati finalmente dalle catene, raggiunsero Pozzuoli e il 15 gennaio salirono a bordo dello Stromboli; il giorno dopo il bastimento raggiunse Nisida e imbarcò ventitre altri esiliati, tra i quali Nicola Schiavoni e Domenico dell'Antoglietta; quindi la nave toccò Procida e prese a bordo altri diciotto amnistiati; infine raggiunse la sperduta isola di S. Stefano e raccolse gli ultimi diciassette patrioti, tra cui gli eccellenti rivoluzionari del risorgimento nazionale unitario Luigi Settembrini e Silvio Spaventa1.


Gli avvenimenti precipitarono. Il 14 gennaio Re Ferdinando II di Borbone, trovandosi a Lecce, fu colto da grave malore e in carrozza si affrettò a rientrare a Napoli capitale.

Il 19 gennaio lo Stromboli, con il folto gruppo di 66 patrioti napoletani, mosse da Gaeta per solcare il mar Mediterraneo, superare lo stretto di Gibilterra e raggiungere il lontano porto di Cadice, in Spagna sulla costa dell'Atlantico.

Approdati finalmente a Cadice i patrioti esiliati si prepararono per trasbordare dal piroscafo napoletano Stromboli sul naviglio David Stewart degli Stati Uniti, che doveva condurli al di là dell'oceano nella lontanissima America.

Il 18 febbraio, vigilia della partenza, un giovane dall'aspetto dimesso, vestito da operaio, si presentò al comandante della nave, il capitano di lungo corso Samuele Prentiss, statunitense di Baltimora, ed esprimendosi in inglese domandò di essere ingaggiato come manovale sulla nave. Il comandante aveva proprio bisogno di un altro cameriere e lo accolse tacitamente come passeggero clandestino e cioè come inserviente senza paga. Si può anticipare che il finto operaio altri non era che il tenente della marina mercantile inglese Raffaele Settembrini, figlio del patriota Luigi presente sulla nave.

All'alba del giorno dopo, il comandante Prentiss diede l'ordine di salpare facendo rotta a ovest, in direzione di New York. Per i primi giorni la navigazione fu assai lenta proprio per mancanza di vento.

Il giovane Settembrini e il capitano Prentiss ebbero due lunghi e animati abboccamenti; seguirono altri incontri riservati tra Samuele Prentiss e Luigi Settembrini e Carlo Poerio e Nicola Schiavoni, che parlavano l'inglese2.

Il giorno 22 febbraio, trovandosi nell'Atlantico in vista delle isole Azzorre, dopo un'ultima aperta conversazione, presenti i sedici marinai e i sessantasei patrioti, il comandante Prentiss (potenza del dio denaro?) con voce perentoria impartì alla ciurma il comando di virare il veliero da ovest in direzione nord, con la prua puntata verso l'Irlanda… Gli esuli napoletani intuirono… ed esultarono manifestando espressioni di giubilo.

Il 6 marzo 1859 la nave David Stewart entrò nella baia di Cork, in Irlanda, e gettò l'ancora nel porto di Queenstown. Allora «…tutti ci stringemmo la mano e ci baciammo l'un l'altro, e tutti benedicemmo la Provvidenza d'averci strappati agli strazi, e d'averci sospinti liberi finalmente in libero suolo, padroni della nostra volontà e delle azioni nostre»3.

Giuseppe Mazzini, trovandosi allora esule a Londra, si premurò d'inviare a Queenstown il fedele compagno Giuseppe Fanelli il quale recò a Carlo Poerio, considerato il più autorevole degli esuli napoletani di recente arrivati in Irlanda, una lettera di congratulazioni per la libertà riacquistata e di offerte di aiuti, se occorrenti.

Il Fanelli, poi, a voce riferì singolarmente ai patrioti che Giuseppe Mazzini e il Partito Repubblicano sarebbero ben lieti di concludere accordi politici con loro ferventi democratici. Il Poerio rispose per tutti: «Si ha da noi in gran considerazione il vecchio cospiratore, però le nostre convinzioni politiche sono state nel passato, e debbono rimanere, contrapposte alle sue. … Necessità e dovere ci consigliano quindi a restare fermi nelle nostre idee, non solo pel bene d'Italia, ma per ismentire coi fatti il Re di Napoli, il quale, avendo giuocato d'inganni a giustificare l'iniqua sua condotta verso di noi, spargeva con tutti i mezzi ch'erano in suo potere: "esser noi non altro che dei faziosi turbolenti e dei repubblicani ben degni veramente di repressione"». Soltanto sette del gruppo del Poerio accettarono la stimolante proposta del Mazzini; tra essi il leccese Domenico dell'Antoglietta, amico di collegio di Sigismondo Castromediano, e ora anche parente da quando suo fratello Achille dell'Antoglietta aveva sposato A. Teresa Castromediano sorella di Sigismondo.

A fine marzo i sessantasei esuli raggiunsero l'Inghilterra e a Londra furono accolti da autorevoli capi di governo e ministri, quali Henry Palmerston, John Russel, Edward Clarendon, William Gladstone ed altri personaggi della cultura e delle arti. I patrioti napoletani furono ricevuti - dietro suggerimento del primo ministro Camillo Benso di Cavour - anche dal marchese Emanuele D'Azeglio, rappresentante del Governo piemontese presso il Governo inglese.

Poi, a gruppetti, i patrioti fecero ritorno in Italia. Sigismondo Castromediano, insieme con Braico, Dono e Mollica, arrivò a Parigi; poi da solo, proseguendo per la Savoia e il Cenisio, entrò in Piemonte e finalmente il 18 aprile 1859 raggiunse la meta desiderata, Torino capitale del Regno di Sardegna, e qui decise di fermarsi, in attesa degli eventi nazionali, e qui il suo pensiero politico, acerbo nel periodo cospiratorio e maturato nel decennio detentivo, si fissò decisamente sul progetto cavouriano dell'unità nazionale monarchica sabauda.


1 L. Settembrini (1813-1876), professore universitario a Napoli, nel 1848 fondò la "Grande Società dell'Unità italiana". Arrestato per cospirazione, nel 1851 fu condannato all'ergastolo e recluso nell'isola di S. Stefano. Nel 1875 scrisse e pubblicò Le Ricordanze della mia vita, un'opera di letteratura popolare educativa.
S. Spaventa (1822-1893), deputato nel parlamento napoletano, nel 1848 fondò la setta segreta "Unità italiana" tesa a sovvertire il governo costituito, per cui subì un lungo processo, che si concluse nell'ottobre del 1852 con la condanna a morte, pena poi tramutata nel carcere a vita.
2 L. SETTEMBRINI, Ricordanze della mia vita
3 S. CASTROMEDIANO, Memorie, vol. II, pag. 186
4 S. CASTROMEDIANO, Memorie, vol. II, pag. 196


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