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Fortunato Giusto (1656-1710), 3o marchese e 2o duca |
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I CASTROMEDIANO
L'Interdetto contro la Città e Diocesi di Lecce
Un altro grave evento, questo però di carattere spirituale, si verificò all'inizio del marchesato di don Giacinto Maria Castromediano; per cui anche gli abitanti del feudo di Cavallino dovettero sottostare, loro malgrado, a una grave censura ecclesiastica, a una severa punizione clericale.
In verità, da decenni l'Università cittadina di Lecce, i casali e i feudatari da una parte, la Curia vescovile, il Clero, le parrocchie, i conventi e i monasteri dall'altra, vivevano in conflitto tra loro e non per contrasti religiosi ma per ragioni prettamente economiche e finanziarie: da una parte i laici impegnati a ridurre le eccessive franchigie fiscali e le ampie esenzioni daziarie di cui godevano gli enti e gli uomini di chiesa, e dall'altra i numerosissimi religiosi, abati e monaci, canonici, parroci, preti, chierici e loro familiari, determinati a difendere le immunità e i privilegi ecclesiastici.
Proprio per questi motivi molti figli di famiglie benestanti, le quali maggiormente erano soggette a tassazioni fiscali, erano costretti ad abbracciare lo stato religioso: allo scopo di essere esentati, loro e i familiari, dai tributi, dalle tasse e dai dazi. Da una statistica del 1712 risulta che a Lecce, con una popolazione di circa 13.000 abitanti, c'erano 36 conventi, 22 abati, 115 preti e ben 369 chierici aspiranti al sacerdozio.
Si mette in evidenza che in Cavallino tra una popolazione di appena 850 individui operavano 10 preti, 2 chierici e 8 monaci Domenicani. E senza alcuna sorpresa e meraviglia…, giacché, intorno ai medesimi anni, nel più piccolo casale di Morciano (però facente parte della diocesi di Ugento) su una popolazione di 717 abitanti vi erano addirittura 21 preti, 2 diagoni e già ben 13 chierici, senza contare i 30 monaci Carmelitani1, tutti ugualmente esentati, loro e i familiari, da ogni contribuzione fiscale e daziaria.
La controversia tra autorità religiose e autorità civili finì in tribunale e l'anno 1711 la Regia Udienza di Lecce emise un verdetto sfavorevole alla Curia vescovile e al Clero diocesano. Allora il vescovo mons. Fabrizio Pignatelli, con la dovuta approvazione del papa Clemente XI, lanciò la Scomunica contro singole autorità laiche e l'Interdetto contro la Città e Diocesi di Lecce.
Per ben otto anni, sino al 1719, in Cavallino l'attività parrocchiale e conventuale rimase interrotta: chiese e cappelle chiuse, mute le campane; non si celebrarono messe né altre funzioni religiose con la presenza di fedeli; furono proibite le processioni e vietati gli inni sacri e i canti liturgici corali; i peccatori potevano confessarsi ma senza poi prendere l'eucaristia; i matrimoni venivano registrati o in casa o in sacrestia senza messa e senza benedizione; i morti erano trasportati di notte tempo senza croce né sacerdote, senza corone né lamenti di prefiche e seppelliti senza rito funebre. Un lungo periodo spiritualmente lugubre!
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