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L'Interdetto contro la Città e Diocesi di Lecce | Giacinto Maria I (1686-1768), 4o marchese e 3o duca |
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I CASTROMEDIANO
Giacinto Maria I (1686-1768), 4o marchese e 3o duca
Nei domini dei Castromediano a don Fortunato successe, l'anno 1710, suo figlio Giacinto Maria I. Subito egli dovette preoccuparsi di trovare un rimedio a un male contagioso che, avuto origine nel casale di Carmiano, si stava diffondendo in parecchie zone del Salento e aveva fatto la sua comparsa anche nel feudo di Cavallino.
Una malattia sconosciuta colpiva e uccideva il bestiame bovino da latte e da lavoro, arrecando gravissime perdite all'economia. Finalmente verso la metà del mese di luglio del 1712,…
per causa della suddetta infermità venne una ricetta per medicarsino detti animali, così essendo stato ordinato da S. E. il Viceré che si potrebbe applicare; quali ordini circolari s'inviavano per tutti i luoghi della Provincia ed era del tenor seguente:
"Si romperà l'ampolla che li nasce nella bocca, e poi si laverà con succo di cipolla bianca ed aceto, si dovranno insufflare nelle due orecchie e nella gola e dopo una mezz'ora si dovrà darli una bevanda di mezza garrafa di vino con un poco di ruta, 2 once di sale comune, 2 once di zolfo, e 2 di zucchero rosso, le quali cose si lasceranno bollire per un poco di tempo; semi di ginepro con agli e cipolle bianche se ne dovrà fare bevanda, quale la si dovrà dare per la bocca e così si seguiterà." E prima di ogni altro se li dava a bere l'olio di S. Oronzio e con questo venivano anche a guarire.1
E alle carestie e alle epidemie si aggiungevano le scorrerie dei ladroni di mare i quali accrescevano le preoccupazioni tra tutte le popolazioni salentine.
A. D. 1717 - In quest'anno li Turchi scesero nel casale di Vanze e fecero prigionieri da 49 persone tra maschi e femine e molti nobili. Diedero il sacco alla Chiesa e ne portarono la sacra pisside e calici, e solo si salvò l'arciprete con la sua gente.2
Don Giacinto l'anno 1723 sposò donna Maria Francesca Gallone Colmonero figlia del principe di Tricase, la quale come dote personale portò allo sposo la ricca azienda agricola di Fano. Il marchese duca amministrò i possedimenti feudali e le proprietà familiari più da signorotto vanesio che da feudatario efficiente; di fatto lasciò la direzione delle svariate attività agricole e pastorizie ai castaldi, avendo l'accortezza di mandare come fattori nel latifondo di Morciano esperti agricoltori cavallinesi e di incaricare come fattori nelle vaste terre di Cavallino persone competenti morcianesi, ciò nella speranza di evitare possibili accordi affaristici tra controllori e sorvegliati conterranei. Mentre egli, abitualmente, si recava a Lecce per trascorrere i pomeriggi al Circolo dei Nobili con gli amici.
Quegli anni le condizioni economiche e sociali, specialmente degli abitanti dei casali, ancor più peggiorarono.
Si vedeva il numero infinitissimo di poveri andare questuando per la città, smunti emaciati e con la faccia cadaverica mentre i villani si pascevano di erbe crude e gli altri le radici di quelle senza un boccone di pane.
Le donne povere vendevano la stima e l'onor loro per pochissimi quattrini, molti vi perdevano la vita atteso li morbi gallici che si attaccavano.3
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