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Giacinto Maria I (1686-1768), 4o marchese e 3o duca |
Miseria culturale e religiosità popolare | Giusto Silvestro, Domenico I e Giacinto Maria II |
I CASTROMEDIANO
Miseria culturale e religiosità popolare
Soltanto i figli del marchese imparavano le nozioni essenziali della lingua italiana e dell'aritmetica, con la guida di un frate domenicano; soltanto alcuni figli di villani, che con il beneplacito del marchese si avviavano al sacerdozio, i chierici, studiavano l'italiano e il latino presso il Seminario di Lecce. Tutti gli abitanti del casale di Cavallino erano non scribenti, analfabeti, e apprendevano il linguaggio della famiglia e della gente paesana, che nondimeno era la lingua dialettale leccese di evidente derivazione latina.
Non era interesse del marchese istituire la scuola pubblica, non era premura dell'arciprete aprire la scuola parrocchiale, stante la riserva che l'istruzione induce a pensare e a ragionare, e invece i subalterni non dovevano pensare e ponderare; dovevano semplicemente eseguire le direttive e gli ordini di chi guidava e dirigeva la comunità feudale.
Il 29 febbraio 1743 la Terra d'Otranto fu scossa da un forte terremoto. La città di Nardò rimase molto danneggiata; pure Brindisi, Taranto, Francavilla, Mesagne patirono numerosi crolli di vecchi edifici. La città di Lecce e i paesi vicini rimasero incolumi. Ciò fu attribuito alla protezione di S. Oronzo, in onore del quale furono programmati quindici giorni di festeggiamenti religiosi e civili.
Il giorno della chiusura i cavallinesi, contriti e penitenti, guidati dai sacerdoti del Capitolo e dai monaci del Convento, presenti anche i marchesi don Giacinto e donna Chicchina, in processione si recarono a Lecce e in piazza Duomo gremita di fedeli cantarono il Te Deum di ringraziamento e in piazza S. Oronzo assistettero allo sparo di fuochi pirotecnici.
Proprio in occasione di calamità, carestie, malattie, per la gente di Cavallino era di conforto il ricorso alla religiosità tradizionale, in cui elementi di devozione convivevano con elementi di superstizione, per cui tanti simboli cristiani venivano intesi in senso magico. I santi, per esempio, non erano considerati come modelli di pietà da imitare ma erano venerati in quanto operatori di miracoli e guaritori di specifici mali. Ecco, dunque, S. Oronzo invocato per salvaguardarci dai terremoti e dai temporali; S. Paolo di Galatina per liberarci dal tarantismo (ballu de Santu Itu); S. Antonio da Padova per guarirci dalle infezioni cutanee (fuecu de Sant'Antoni); S. Donato per calmare le convulsioni epilettiche (male de Santu Tunatu); S. Apollonia per il mal di denti e S. Biagio per il mal di gola; i santi medici Cosma e Damiano erano ritenuti specialisti in malattie dei genitali maschili e della sterilità femminile e venivano supplicati con fiducia ma con grande personale riservatezza.
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