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Pippi De Dominicis
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Antefatti Cenni biografici Pippi, diplomato disoccupato
GIUSEPPE G. B. DE DOMINICIS
(Cavallino 1869 † 1905)
di Salvatore e di Francesca Garrisi




Cenni biografici

(dal "Registro dei Battezzati" dell'Archivio parrocchiale)

39us -- Die undecima Septembris millesimo octingentesimo sexagesimo nono - Caballini 39° -- Giorno 11 settembre 1869 in Cavallino
Joseph Joannes Baptista De Dominicis filius Salvatoris, et Franciscæ Garrisi coniugum e Caballino, natus die supradicto, hora prima noctis, baptizatus fuit a me subscripto die seguenti, suscipientibus Aloysio De Pandis e Joanne, et Maria Angela Gigante e Joanne a Caballino - Et ita est - Giuseppe Giovanni Battista De Dominicis figlio di Salvatore e di Francesca Garrisi coniugi da Cavallino, nato il giorno suddetto alle ore 7 pomeridiane, fu battezzato da me sottoscritto il giorno seguente, accolto dai padrini Luigi de Pandis di Giovanni, e Maria Angela Gigante di Giovanni, di Cavallino - E così è -
Aeconomus Curatus Orontius Totaro L'Economo Curato Oronzo Totaro

Lu Totu De Duminici, nn'omu fatiante, face lu cuntatinu intra lli doi fondi soi; la Frangisca, nna fìmmena ngarbata, resçe la casa, bada a llu maritu, crisce li figghi Peppinu, Titta, Nzinu, Filippu e Ronza, e ttroa puru lu tiempu cu ffila cu llu fusu e ccu ttesse a llu talaru.

Peppino nasce in quella casa in fondo alla corte sita al termine di via dell'Annunziata, sul lato destro; cresce e impara il linguaggio leccese, l'unica lingua parlata dalla madre, dal padre, dai parenti e dai conoscenti; trascorre l'infanzia giocando in strada, parlando e bisticciando in vernacolo cavallinese, l'unico conosciuto dai compagni de lu largu te la Nunziata.

1877 - A Peppino, fanciullo di otto anni, sono affidate due pecorelle da condurre e sorvegliare al pascolo, ma egli esegue il compito di malavoglia e soltanto perché obbligato a scappellotti. Si appaga quando, verso mezzogiorno, munge del latte pecorino in un barattolo, vi mescola cinque gocce di lattice di fico, mette il tutto a focherello, e si prepara nna sapurita pursione te recotta.

1879-82 Peppino frequenta in Cavallino le prime tre classi di scuola elementare per apprendere i primi elementi della lingua italiana, una parlata fino ad allora a lui sconosciuta, e le quattro operazioni dell'aritmetica. Sindaco di Cavallino è don Giovanni Battista De Giorgi, popolarmente chiamato papa Titta, mentre Maestro normale è don Salvatore De Pandis, detto papa Tore, un insegnante proprio buono perché in classe agli scolari discoli non dà cuerpi te rica sulle mànure, ma usa dare soltanto nna terata te rìcchie o doi pezzecate alle razze.

1882-84 Giuseppe De Dominicis è l'unico ragazzo cavallinese che prosegue negli studi - così ha voluto la madre e così preferisce il figlio - e frequenta a S. Cesario la 4a e la 5a classe di scuola elementare. È dotato veramente di grande forza di volontà.

A llu paise de Caδδinu la bricichetta nu bete ncora canusciuta, e pe cquistu lu striu alla scola ae e bene ogne giurnu alla mpete, cu lli friddi e ccu lli càuti, cu llu sule e ccu ll'acqua, cu lli sçerocchi e ccu lle tramuntane.

1884 - A quindici anni, se pìgghia la licenza te quinta, consegue cioè il diploma della Scuola Normale o Elementare, con ottimi voti sia nel profitto che nella condotta. Come premio, papa Santu Monìttola ni rrecala li Fiuretti de San Frangiscu, lu tuttore don Diecu Garrisi ni dae a llèggere li rumanzi Querinu Meschinu e Li Riali te Francia, papa Cìcciu De Luca ni mpresta la Divina Cummètia.

In campagna, però, nelle ore libere dei pomeriggi, e pure nei giorni delle vacanze lunghe, si rifiuta di andare insieme con i fratelli ad aiutare lu tata Totu, prima perché è mingherlino di corporatura e poco resistente alle fatiche campestri, e poi perché non intende proprio apprendere l'arte de lu tata, il mestiere de lu ellanu, non vuole fare il contadino.

1885 - Peppino manifesta una naturale inclinazione e un vivo piacere e interesse di continuare a studiare: sente il bisogno di apprendere cose nuove, desidera imparare sempre di più, vuole istruirsi, insomma, e… gnigna a ncapu nde tene!, ha doti e capacità naturali.

E per l'anno scolastico 1885-86 s'iscrive presso la Scuola Tecnica Provinciale per frequentare le scole te Lecce. Il paese di Cavallino allora non era collegato da mezzi pubblici di trasporto con Lecce capoluogo, distante poco più di quattro miglia, per cui lo studente Peppino ogni giorno di scuola andava e tornava a piedi dalla città, di frequente insieme con i compaesani uastasi e ciuàre, facchini e venditrici di uova; talvolta, però, capitava che qualche amico trainiere gli dava un passaggio sul carro sino alla Purchiera o per lo meno sino al bivio de lu Pignu.

«…era un ragazzo vestito alla campagnola, simpatico, d'un bruno rubesto e con due occhi di carbonchio illuminati da lampi di vivacità che facevano intravedere un ingegno sveglio e un'intelligenza non comune» (scrisse il prof. Francesco D'Elia).

1887-88 Durante il 3° corso tecnico lo studente Giuseppe De Dominicis, firmando con lo pseudonimo Capitano Black, pubblica sul giornalino scolastico "Il Pensiero" due poesie in lingua italiana. Ma qualche tempo dopo si confida con il prof. Fr. D'Elia e gli rivela di volere «abbandonare la poesia in lingua per coltivare la musa dialettale».



Una mattina non ha proprio voglia di andare a scuola per sorbirsi due ore di matematica e un'ora di fisica, e decide, dunque, di nnargiare la scola, di marinare le lezioni, e, quasi per tenersi nascosto, entra nella basilica di Santa Croce. Sul lato a destra entrando, si ferma più a lungo ad osservare il magnifico altare barocco intitolato a S. Oronzo. Guarda le due colonne laterali a spirale e fra i tralci floreali osserva scolpiti uccelli e teste di angioletti; nel mezzo, in una cornice elaborata ammira la pala che presenta il dipinto a forti tinte del venerato Patrono dei Leccesi, il quale stende la mano protettrice sulla città da lui salvata dal disastroso terremoto del 1743.

Nel riquadro ai piedi del Santo, inoltre, Peppino nota una scritta in stampatello maiuscolo; non ha penna per copiarla e allora la legge attentamente tre sole volte e la impara a memoria:

FOI SANTU RONZU CI NI LEBERAU
DE LU GRA' TERRAMOTU CI FACIU
A' BINTI DE FREBBARU: TREMULAU
LA CETATE NU PIEZZU E NU CADIU.

IDDU, IDDU DE CELU LA UARDAU
E NUDDU DE LA GENTE NDE PATIU.
È RANDE SANTU! MA DE LI SANTUNI!
FACE RAZIE E MERACULI A MEGLIUNI.

Le due simpatiche quartine sono in schietta lingua dialettale, la sola allora conosciuta e parlata dalla popolazione leccese; e ciò è confermato anche dal poeta vernacolo Francescantonio D'Amelio (1775 † 1861), il quale ebbe a dichiarare:

Nudda lingua aggiu studiata
e de nudda sacciu nienti:
sulu quidda de lu tata
me sta sçioca intru li dienti.

Pure il Capitano Black, cavallinese, in tutta la sua vasta produzione poetica userà sempre il dialetto leccese, "la lingua de lu tata", la parlata comune del popolo.

1888 - A 19 anni, finalmente presso la Scuola Tecnica Commerciale del capoluogo consegue il diploma di perito.




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